7 Aprile 2017, Health For All – Giornata europea di azione contro la commercializzazione della salute.

Vogliamo iniziare da un numero: 11 milioni. Sono gli italiani che nel 2016 hanno rinunciato a curarsi per motivi economici. Stiamo parlando di un sesto della popolazione che, a fronte di una crisi economica oramai divenuta strutturale, non riescono più ad accedere al diritto alla salute, quello stesso diritto che l’articolo 32 della nostra costituzione definisce come “fondamentale”. Questa crisi, iniziata nel 2007/8, non è più un momento transitorio nell’insieme dei cicli economici, è divenuta un vero e proprio sistema di governo.
 
L’austerità, propagandata in Europa come unica cura contro gli sprechi, applicata a causa di un debito pubblico in gran parte forzatamente costruito, schiaccia, con tutto il peso delle maggiori istituzioni europee, i più elementari diritti delle popolazioni, diritto alla salute in primis.
 
Oggi la spesa sanitaria costituisce quasi l’80% del bilancio delle singole Regioni, e, nel quadro complessivo di crisi economica delle istituzioni pubbliche, ci troviamo nella situazione per cui i disavanzi di bilancio diventano vere e proprie armi, utilizzate dal Governo Centrale per costringere le Regioni a tagliare il tagliabile, attraverso piani di rientro forzati e commissariamenti. La proposta di modifica dell’articolo 117 della costituzione, fermata dal referendum del 4 dicembre, doveva sancire proprio questo modello di governo: punire chi spendeva, confondendo, di fatto, investimenti e sprechi, fornendo al potere governativo uno strumento diretto di gestione della quota maggioritaria dei bilanci regionali.
 
Nel 2016, sempre in Italia, la spesa sanitaria PRIVATA è arrivata alla cifra di 35 miliardi di euro (circa UN TERZO del Fondo Sanitario Nazionale).
 
I continui tagli iniziano ad avere le loro ricadute. Se infatti, nominalmente, gli stanziamenti nazionali pubblici sono in aumento, in termini reali assistiamo, oramai da un decennio, ad un continuo definanziamento, come se il pubblico stesse provando a tirarsi indietro dal garantire a tutte e tutti il diritto alla salute.
 
Il fiorire delle Casse Mutue, delle Assicurazioni integrative, delle forme di assistenza privata, ci dimostrano proprio questo: il messaggio che passa, edulcorato da termini quali “terzo pagante”, “terzo pilastro”, è proprio quello del “si salvi chi può”. Una sorta di spinta gentile, che utilizza strumenti quali i ticket, in costante aumento, le liste di attesa, le carenze strutturali di un servizio volutamente definanziato, che indirizza chi può, chi economicamente ha ancora (o ha sempre avuto) accesso a risorse, a scegliere di abbandonare il pubblico per andare ad ingrossare le fila di coloro i quali provano, appunto, a salvarsi da soli.
 
La spirale innescata va fermata. La direzione intrapresa, infatti, è solo quella della fine del principio di solidarietà e di redistribuzione delle risorse, la quale porterà ad un servizio di alta specializzazione per pochi e un servizio scadente e di sussistenza per tutti gli altri.
 
Tutto ciò ha delle ripercussioni. Tra le regioni del nord e quelle del sud, la differenza nell’aspettativa di vita è oramai di quasi 4 anni, mentre arriviamo quasi a 5 anni di differenza tra chi ha una laurea e chi solo la licenza elementare. Ovviamente si tratta di situazioni complesse, che richiedono azioni concrete su tutti i determinanti di salute (reddito, istruzione, potere sulle proprie scelte di vita), ma sicuramente anche la situazione critica nella quale volge il nostro Servizio Sanitario è corresposabile di questi numeri.
 
C’è la necessità di azioni concrete (dalla promozione dei corretti atteggiamenti di salute e di accesso fino ai servizi ai maggiori investimenti) di contrasto a queste disuguaglianze sociali di salute, in primis attraverso un’azione combinata di rifinanziamento dei servizi, in particolare quelli di prevenzione e di base, e di lotta all’esclusione sociale, in un paese che sta portando sulla soglia della povertà un’intera generazione di nuovi disoccupati e precari.
 
In tal senso il ruolo dei medici in formazione, che spesso rientrano proprio in quest’ultima categoria, è fondamentale. Molti di loro si trovano a lavorare, contrariamente a quanto previsto dalle norme europee, ben oltre le 12 ore lavorative con rischi concreti per la popolazione. Risulta fondamentale un accentramento del loro ruolo all’interno della pianificazione del Servizio sanitario. Quest’ultima deve garantire loro i diritti sindacali base di ore lavorative e deve rispettare allo stesso tempo le effettive necessità della popolazione garantendo una formazione di personale adeguato quantitativamente a coprire tutta quella parte di popolazione che presto si troverà scoperta a causa dei massicci pensionamenti che stanno avvenendo. Ricordiamo, infatti, che prima del 2029 i pensionamenti non scenderanno al di sotto delle dieci mila unità mediche all’anno.
 
E’ importantissimo, quindi, ragionare sul fatto che se i servizi non funzionano, anche in diretta conseguenza dei pesanti tagli degli ultimi anni, è soprattutto per problemi strutturali di personale. Se, infatti, dal punto di vista delle componenti delle infrastrutture e dei livelli essenziali di assistenza, la situazione è pessima,dal punto di vista del personale sanitario la situazione non è certo migliore.
 
Il mestiere del medico è valido solo se è affiancato da un’azione politica che ha il fine di dare a tutti case salubri, vivibili e ospedali efficienti. E’ valido solo se alla clinica del singolo si affianca anche la cura della società intera e un no detto con forza a tutte le politiche che stanno portando allo sgretolamento dell’articolo 32 della costituzione. Per tale motivo noi aderiamo alla giornata del 7 aprile.
 
Per maggiori informazioni consulta il sito: http://setteaprile.altervista.org/
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