Audizione dell’Associazione presso la Commissione Cultura della Camera del 09/01/2019

Siamo stati convocati, come Associazione “Chi si Cura di Te?” ad intervenire oggi, circa le proposte di modifica della Legge 264 del 1999 (o Legge Zecchino, che istituisce il sistema dei numeri chiusi negli atenei, non solo per quanto riguarda i Corsi di Laurea di area medica e sanitaria).

In questa sede interveniamo, assieme ad altre realtà studentesche e di rappresentanza del post laurea di medicina, per ribadire il nostro punto di vista rispetto alle proposte di legge che vorrebbero abolire o superare la 264/99.

Per prima cosa riteniamo prematuro parlare di quale possa essere il modello di selezione migliore e maggiormente equo, sempre che possa esistere un principio di equità nella selezione, senza avere delle precise garanzie circa, ad esempio, un aumento sostanziale dei fondi dedicati alla formazione in ambito universitario, che si dovrebbero tradurre in un concreto aumento della dotazione di aule e materiale didattico, uno sblocco complessivo del reclutamento da parte degli atenei, oggi fortemente limitato dal sistema dei punti organico, ma, soprattutto, un aumento della disponibilità di borse di studio, posti alloggio, agevolazioni per gli studenti. Senza questi presupposti crediamo sia, infatti, piuttosto aleatorio e complesso poter discutere di come aprire questo o quel corso di studi.

Non ci riferiamo, in tal senso, ad uno specifico corso di laurea, quale quello che ci interessa in particolare, ossia quello delle lauree nelle aree sanitarie, ma in generale a tutti i corsi ad oggi con un ingresso a numero programmato.

Andando invece nello specifico dell’ambito sanitario, al di là di questa, che consideriamo appunto una premessa, crediamo che un ulteriore focus debba essere fatto, con strumenti chiari ed uniformi sul territorio nazionale, circa i fabbisogni di personale. Nelle nostre analisi siamo sempre partiti dal presupposto che il percorso formativo in ambito sanitario, debba essere visto come una filiera che, a partire dall’accesso ai corsi di laurea, tenga conto di tutte le fasi della formazione, ma anche dell’accesso al lavoro, nella prospettiva di rispondere adeguatamente ai bisogni di salute della popolazione.

Denunciamo infatti da anni che, al di là di proclami di questo o quel Governo, sul fronte dello sblocco delle assunzioni nel Servizio Sanitario pubblico resta ancora oggi quasi tutto fermo e le attuali prospettive non sembrano invertire la rotta. Da un lato quindi un pesante blocco nell’accesso al lavoro, dall’altro l’annosa questione del “come” si calcolino i fabbisogni di professionisti: ci sembra infatti del tutto inadeguato a delle prospettive auspicabili di crescita del Servizio che il calcolo del fabbisogno sia basato solo sulla quota dei pensionamenti, come se i bisogni di salute di una popolazione e di personale delle Regioni fossero risolvibili in meri calcoli ragionieristici.

Chiediamo, infatti, da tempo che il Governo si faccia carico, anche in sede di Conferenza Stato-Regioni, di ridefinire le prospettive a medio/lungo periodo del servizio sanitario nazionale, coinvolgendo attivamente tutti i portatori di interesse in un’ottica di adeguamento e crescita del servizio stesso, alla luce delle crescenti disuguaglianze sociali che si ravvisano oggi sul nostro territorio e che richiedono urgenti risposte in termini, principalmente, di rifinanziamento del servizio stesso. Solo cambiando gli addendi del calcolo e la nostra visione e ragionando in termini della complessità del nostro Servizio Sanitario Nazionale e della popolazione tutta sarà quindi possibile costruire una reale programmazione basata sulle vere esigenze del nostro Paese.

Inoltre, e su questo vogliamo porre una particolare attenzione, servono assicurazioni circa l’annosa questione dei canali formativi paralleli nell’ambito delle specialità mediche, in particolare adesso che il Parlamento è in fase di riapertura della discussione circa la richiesta di autonomia crescente di alcune regioni (Autonomia che, ricordiamo, è già stata in parte ottenuta tramite accordi separati tra il precedente governo e le regioni), le cui ripercussioni in ambito formativo-sanitario sono già state contestate da noi quasi un anno fa. Per far fronte alla mancanza di personale, infatti, negli ultimi anni, si sono susseguite proposte che, nonostante possano sembrare allettanti per tutti coloro che sono rimasti incastrati negli imbuti formativi fino ad oggi e che non hanno potuto completare la propria formazione a causa di un inadeguato numero di posti messi a bando (tra medicina generale e specialità), ma che aprono degli scenari potenzialmente pericolosi, con la creazione di figure ibride: non specialisti, ma neanche solo medici, impiegabili in maniera non chiara sia in termini di mansioni attribuibili, responsabilità medico-legale e remunerazione del loro operato.

Per noi è dunque impossibile slegare il discorso del percorso formativo pre-laurea medico dalla garanzia che la formazione post laurea sia una soltanto, sicuramente più integrata rispetto a quanto lo sia adesso tra università e territorio, ma che garantisca infine un valore legale del titolo di specialista, spendibile uniformemente sul territorio nazionale, nel Servizio Sanitario Pubblico e nel contesto Europeo in generale. Per noi esiste un’unica risposta ad oggi: il cospicuo rifinanziamento della rete formativa dal primo anno di medicina all’ultimo di specializzazione, con l’obiettivo centrale di risolvere l’imbuto che vede, attualmente, più di 10000 medici in attesa di completare la propria formazione.

Partendo dal presupposto che l’Italia è uno dei paesi OCSE con il più basso numero di laureati, di finanziamenti all’istruzione e dalla minore copertura per il Diritto allo Studio Universitario estesamente inteso, secondo noi, è comunque imprescindibile il superamento dell’attuale modello formativo, ai nostri occhi non meritocratico, ma escludente e competitivo ed utile più all’indotto economico di Enti Terzi privati. Pensiamo questo, ribadiamo, per quel che riguarda tutti i corsi a numero chiuso.

Rispetto al modello cosiddetto “francese”, crediamo si tratti semplicemente di rimandare di un anno il test di accesso, ed oggi, a fronte di una complessiva mancanza di garanzie, sono in molti a non potersi permettere anche solo il rischio di non continuare al termine di questo primo anno, ponendo seri problemi di equità. Inoltre crediamo che, in questo modo, si esporrebbero gli studenti ad un ambiente universitario estremamente competitivo, contrario all’auspicabile approccio collaborativo che deve caratterizzare le professioni sanitarie.

In conclusione, cercare di trovare un metro migliore che misuri i più idonei a frequentare un corso piuttosto che un altro ci sembra un esercizio dalle rischiose prospettive, che crea un affaccendamento attorno ad una questione che non rappresenta il vero cuore della problema. Non si può, e lo ribadiamo ancora una volta, parlare di un modello di ingresso, piuttosto che di un altro, indipendemente dai nostri ideali, senza prima risolvere i versi nodi del diritto allo studio e del diritto alla salute:

  1. Finanziamenti del personale, del materiale, delle strutture
  2. Copertura totale delle borse di specializzazione
  3. Calcolo reale dei fabbisogni della popolazione

Il tutto nelle sole prospettive che deve tornare ad avere il nostro Servizio Sanitario Nazionale: allargamento, crescita ed universalità.

Grazie per l’attenzione.

Torna in alto