L’apprendista specializzando

 

È di questi giorni la notizia di una nuova ventilata riforma del sistema di formazione specialistica, in esame al Senato in un disegno di legge elaborato dalla Lega. In estrema sintesi l’idea è quella di formare gli aspiranti specialisti, oltre che nei canonici percorsi di specializzazione, anche al di fuori dei policlinici universitari, negli IRCCS ed ospedali di alta specializzazione, con un contratto di apprendistato, fermo restando il coordinamento delle attività teoriche da parte degli atenei territorialmente competenti. Le risorse per questa iniziativa, da avviare sperimentalmente già quest’anno per il prossimo decennio (2019-2029), ammontano a 90 milioni di euro all’anno, di cui 60 destinati alla stipula dei contratti per gli apprendisti, e 30 per il compenso dei formatori extra-universitari, individuati in primari alle soglie della pensione con un’anzianità di servizio minima.

 

Il disegno di legge offre diverse prospettive, di cui la più allettante è senz’altro lo stanziamento annuo di 90 milioni di euro. A ben guardare, il resto della proposta cristallizza, ponendo alcuni interrogativi che chiariremo più avanti, una situazione che può già legittimamente verificarsi ai sensi della normativa vigente in tema di formazione specialistica.

 

Il Decreto ministeriale 13 giugno 2017 ha rivoluzionato l’organizzazione delle Scuole di specializzazione in medicina, definendone i criteri di accreditamento e consentendo agli atenei di inserire nella propria rete formativa strutture sanitarie anche diverse dai policlinici universitari, purché in linea con i requisiti stabiliti dal MIUR. La stragrande maggioranza delle Scuole ha effettivamente allargato i propri orizzonti, accreditando ospedali limitrofi e lì inviando i propri specializzandi a svolgere parte del loro percorso. La possibilità che i medici in formazione specialistica trascorrano parte della formazione in centri diversi dalle università, dunque, è un dato già acquisito. Attualmente questo fatto è lasciato alla discrezionalità dei Consigli delle scuole di specializzazione e, dunque, non attuato sistematicamente sul territorio nazionale; il disegno di legge istituzionalizza la possibilità di formarsi fuori ateneo, ma obbligando l’apprendista a passare in questi centri periferici o IRCCS l’intero percorso post-laurea.

 

Percorso post-laurea che non ci sentiamo di definire specializzazione: in Italia questa è un titolo di studio, erogato dalle Università, ed il disegno di legge non sancisce in maniera chiara che l’apprendista, al termine del percorso, diventerà a tutti gli effetti uno specialista, ma dice che la qualifica acquisita sarà equipollente alla specializzazione dello stesso ambito: excusatio non petita, accusatio manifesta… Se l’accesso alla dirigenza sarà effettivamente equiparato senza alcuno svantaggio non è chiaro, dal momento che la normativa richiede espressamente il possesso di un diploma di specializzazione rilasciato dalle università.

 

L’apprendista firmerebbe un contratto direttamente con la struttura periferica, ma dovrebbe comunque seguire i corsi teorici impartiti dagli atenei più vicini, con modalità da stabilire in appositi decreti attuativi. Ci chiediamo se questo apprendista sia dunque tenuto o meno al pagamento delle tasse universitarie, essendo da un lato obbligato ad utilizzarne in parte i servizi, e dall’altro impossibilitato ad ottenere un titolo erogato dagli atenei. Il disegno di legge non si cura di questo aspetto.

 

La formazione specialistica presenta innumerevoli problematiche, di cui da anni ci occupiamo e che denunciamo, inerenti l’inadeguata acquisizione delle competenze in alcune scuole, il rispetto dell’orario di lavoro, il diritto alla genitorialità, alla malattia, all’aspettativa; sul piano dell’accrescimento professionale, specie nelle branche chirurgiche i centri periferici spesso si rivelano modelli virtuosi, perché lì lo specializzando è visto come una risorsa e per l’assenza forse di alcune logiche al limite del dinastico. Questo sottolinea una volta di più l’importanza degli Osservatori e la necessità di allocare risorse per il loro funzionamento, ma a nostro avviso la soluzione è imporre ai centri universitari di funzionare, ove deficitari, e non decentrare la formazione. Un percorso misto centro-periferia è da incentivare, perché si possa sperimentare il percorso di diagnosi e cura ad ogni livello e con ogni gamma di risorse cliniche a disposizione, ma al netto delle criticità crediamo che la demonizzazione delle università rischi di svalutare un intero percorso.

 

Resta indubbia la drammatica carenza di specialisti per le necessità del nostro SSN e dei cittadini, ma siamo convinti che l’attuale sistema di funzionamento delle Scuole di specializzazione disponga già di tutti i presupposti teorici per garantire una formazione adeguata sul piano qualitativo e quantitativo. La nostra proposta è quella di continuare ad avvalersi dell’impianto normativo esistente, senza produrre nuovi percorsi e figure con il rischio concreto di generare specializzandi di serie A ed apprendisti di serie B, obbligando le Scuole di specializzazione ad integrare gli ospedali periferici e gli IRCCS per parte del percorso di ogni specializzando, ed infine vigilare attivamente, tramite gli Osservatori potenziandone le risorse e le capacità sanzionatorie, per correggere le situazioni di carenza formativa e mancato rispetto dei diritti degli specializzandi. Lo stanziamento annuo di 90 milioni di euro previsto dal disegno di legge è la vera e positiva novità, che consentirebbe di attivare, senza ritardi possibili nel caso di una modifica tanto radicale, circa 730 ulteriori contratti all’anno per i prossimi dieci anni.

 

Ciò che auspichiamo è, piuttosto, un’organica riforma del sistema di formazione specialistica, un sistema unico, equo sia nel sistema di accesso che nel percorso. L’obiettivo è duplice: garantire che la formazione rimanga pilastro fondamentale, allo stesso tempo ripensare e delineare il ruolo dello specializzando all’interno del servizio sanitario nazionale, che ad oggi risulta caratterizzato da cavilli e ambiguità.

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