Anche il Veneto di Zaia si ritrova a dover fronteggiare la carenza di personale nei presidi ospedalieri del suo Servizio Sanitario Regionale.
Ciò che è scritto nel Piano Socio-Sanitario Regionale (PSSR) dei prossimi cinque anni, si sa, va rispettato (soprattutto nei termini di erogazione dei LEA), e l’invecchiamento della popolazione, assieme all’aumento degli afflussi alle U.O. di Accettazione e Pronto Soccorso della regione non rende le cose più facili: la Regione stima una carenza di 320 medici per il Pronto Soccorso (PS) e di 180 medici per le medicine e le geriatrie.
Medici che, in un modo o nell’altro, vanno trovati. Per questo motivo, la corrente stagione estiva ha visto la Giunta Regionale rimboccarsi le maniche e produrre una serie di delibere per provare a trovare una soluzione al problema.
Ma procediamo con ordine: è forse necessario premettere che non è possibile assumere come personale convenzionato, quindi, dipendente del SSR, un medico che non sia specialista nella disciplina di riferimento o, in secondo luogo, in una disciplina affine o equipollente.
La Regione Veneto, già nel PSSR 2019-2023, approvato il 28 dicembre 2018, mette le mani avanti: assicura infatti che sia suo assoluto interesse strutturare personale specializzato. Tuttavia, questo personale sembra non esserci. Per quanto riguarda il PS, ad esempio, i posti messi al bando, comunque insufficienti a coprire le carenze evidenziate dallo stesso sistema di monitoraggio regionale, non vengono coperti nemmeno per un quarto (col contributo preponderante degli specializzandi, in conseguenza del D.L. Calabria).
A questo punto è ancora il PSSR ad aprire le danze: allo scopo di garantire le prestazioni di assistenza diretta ai pazienti comprese nei LEA, le aziende potranno, in via eccezionale, conferire a medici non specialisti incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie, qualora risulti impossibile il reperimento di medici in possesso della specializzazione richiesta e, successivamente, di specializzazioni equipollenti o affini.
Le delibere di quest’estate quindi non fanno altro che definire strategie attuative per il raggiungimento degli obiettivi definiti nel PSSR, sia in termini di riordino organizzativo del sistema dell’Emergenza, sia in termini di procedura per il reclutamento e formazione per i medici non specialisti di cui sopra.
Il processo di training degli studenti-lavoratori verrà gestito, per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, dalla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica (Fondazione SSP), emanazione diretta della Regione Veneto, mentre per gli aspetti tecnici, dal Centro Regionale di Coordinamento di Emergenza/Urgenza (CREU): il primo avviso per il reclutamento degli eventuali interessati verrà emesso dalla Fondazione SSP entro il 15 settembre 2019.
La formazione è forse una delle maggiori criticità di questa proposta: descritta per quanto riguarda l’emergenza nell’Allegato B della DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE n. 1035 del 12 luglio 2019 (Approvazione delle disposizioni operative per l’efficientamento del modello organizzativo di Pronto Soccorso ed individuazione delle azioni per il governo del personale di Pronto Soccorso. PSSR 2019-2023), consta di 14 appuntamenti che comprendono lezioni frontali e attività teorico-pratiche (12 da 7 ore e 2 da 4 ore, per un totale di 92 ore) volti ad affrontare, per quanto possibile in un monte ore così limitato, i maggiori nodi organizzativi e tecnici del lavoro in PS. Per quanto riguarda la formazione di coloro i quali intendono lavorare nelle medicine e nelle geriatrie, non si trova alcun riferimento ad un programma specifico.
Non sono definite inoltre le modalità di valutazione delle competenze acquisite dagli “studenti”. Nella delibera si parla solo di “concludere con successo il corso”, qualunque cosa ciò voglia dire.
Infine, per quanto riguarda le condizioni contrattuali gli incarichi verranno assegnati ai medici previa procedura comparativa per incarichi di lavoro autonomo. Condizioni non allettanti, in quanto andranno a perpetuare la situazione di precarietà in cui già versano intere, generazioni di camici grigi.
La Regione Veneto, sbandierando lo stendardo del regionalismo differenziato, si avvia a sdoganare quegli strumenti di sfruttamento del lavoro che sino ad ora erano stati appannaggio dei privati (anche solo per intermediazione con il pubblico). Ci sembra infatti di trovarci proprio di fronte ad un primo passaggio formale di applicazione dei pre-accordi sull’autonomia differenziata, di cui avevamo già parlato su Quotidiano Sanità.

Il problema vero non è secondo noi, a questo punto della discussione, schierarsi pro o contro il processo, perché si tratta di qualcosa già in atto, che su altre discipline (in particolare per quanto riguarda l’istruzione) va a confliggere con normative nazionali più stringenti, ma nel caso dell riordino della sanità la Riforma Costituzionale del 2001 già consegna alle singole Regioni le capacità di programmazione dei fabbisogni e l’autonomia decisionale. A questo punto, in una fase che sembrerebbe già molto avanzata, non basta più solo chiedere un aumento delle borse di specializzazione (cosa sacrosanta, e che rivendichiamo da anni), ma capire come questa dinamica innescata dal Veneto possa essere guidata e ricondotta sulla nostra vertenza. Ricordiamo infine, che il Veneto non è un caso isolato: ad aprile scorso la Toscana aveva già proposto di assumere neolaureati nei PS con contratti di “formazione-lavoro”. Il filo comune che unisce questi provvedimenti, è la necessità di colmare i vuoti lasciati da anni di blocco del turn-over, ma anche e soprattutto di errata programmazione dei fabbisogni, sia per quanto riguarda il corso di laurea Medicina e Chirurgia sia per quanto riguarda le specializzazioni mediche (non dimentichiamo il tema delle borse regionali e dei criteri di accesso discutibili di cui abbiamo parlato in un precedente articolo). Il problema soprattutto, secondo noi, è che questa dinamica si è innescata in un momento in cui anche le istituzioni universitarie sono in profonda crisi e ancor più profondamente delegittimate (e giustamente, considerando i livelli di sfruttamento nei reparti universitari, i turni massacranti a cui sono sottoposti gli specializzandi, il totale arbitrio delle scuole rispetto ai trasferimenti, il mancato rispetto delle garanzie contrattuali fondamentali, quali ferie, genitorialità, malattia).
In questo panorama risulta chiaro che ci sono tantissimi colleghi, non solo neolaureati, non specialisti né specializzandi, che vogliono iniziare a lavorare, avere una stabilità di vita, e delle garanzie rispetto alla propria professionalità. Ma quella proposta dalla giunta regionale della Regione Veneto, per come è strutturata, non può essere la risposta a tali esigenze. Non tanto perché le Regioni non possono formare professionisti, ma perché non può configurarsi, specialmente in un settore così delicato come quello dell’Emergenza-Urgenza (dove non ci sono mansionari che tengano quando si presenta un caso complesso in PS), un doppio canale formativo, con futuri medici di serie A e di serie B. Nè la risposta può esaurirsi nella sola, per quanto giusta, richiesta di aumento delle borse di specializzazione. È ora che, di fronte a questa situazione, con Università deboli, Regioni forti e nel mezzo noi, si torni ad immaginare soluzioni che siano capaci di rispondere a tutte le questioni che questa sfida pone: formazione di qualità per tutte e tutti, lavoro garantito e con salari dignitosi, nessuna differenziazione contrattuale all’interno della stessa categoria professionale, un sistema sanitario di qualità e adeguato alle esigenze della popolazione.
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