Lotto Marzo: Donne, Italia, i messaggi poco nascosti delle politiche italiane.

Se dovessimo valutare l’approccio odierno al mondo femminile in Italia probabilmente dovremmo usare il termine “distopico”. Quest’ultimo fu coniato nel 1868 dal filosofo John Stuart Mill partendo dal termine “utopia” per indicarne l’esatto opposto. In fantascienza viene spesso utilizzato per descrivere pericoli percepiti nella società attuale, ma collocati in un contesto distante nello spazio-tempo ed estremizzate sino al raggiungimento di dimensioni apocalittiche. Possiamo definire tale la vita di una donna in Italia nel XXI secolo? 

Recentemente è stato girato un video da Cynthia Nixon dal titolo “Be a Lady” che mette insieme tutti i messaggi contraddittori che una donna riceve nel corso della sua vita. Come video colpisce per la sua semplicità, in circa 3 minuti ricorda a tutt* che una donna non potrà mai nel corso della sua vita accontentare i dettami della società: sii te stessa, ma stai un passo indietro; studia per la tua carriera, ma lascia andare avanti tuo marito; vestiti come ti senti a tuo agio, non essere troppo castigata, ma lascia qualcosa all’immaginazione; fai carriera, ma pensa ai figli; vivi la tua professione, ma sii certa che a casa sia tutto in ordine, davvero hai qualcuno che pulisce al posto tuo? 

La donna che non accontenta uno dei due punti di vista verrà richiamata dai due lati della società: quello che la vuole forte e libera e quello che la vuole chioccia al centro del suo nucleo familiare. 

Nel mezzo di questa spaccatura e circondata da messaggi schizofrenici la donna deve trovare la sua identità, la vera se stessa.

Se decide di rapportarsi alla carriera dovrà fare i conti con colloqui di lavoro in cui le si chiederà se vuole avere figli, dovrà continuamente dimostrare la sua capacità e sarà preteso da lei che non mostri emotività: alle donna, infatti, non verranno perdonate scenate e urla, segno di sbalzi mestruali e isteria. Dovrà affrontare l’ignoranza della gente che non conosce i suoi corretti appellativi e se si permetterà di correggerli rischierà facilmente di passare per arrogante, quindi ancora bivi: farsi valere ed essere etichettata come una donna arrogante o accettare di essere sempre scambiata per la sottoposto del proprio collega?

In tutto questo si aggiunge la paura che la società le insinua ad ogni passo solitario che affronta per la strada: gli uomini sono bestie, gli uomini sono mostri, sono fatti così, nasconditi, non uscire da sola, non vestirti in quel modo, te la sei andata a cercare, lo hai provocato. Le violenze dilagano fisicamente e psicologicamente e l’ansia nel genere femminile aumenta. La paura di una confessione, l’ansia del circo mediatico che trasforma il carnefice in vittima, nonostante mezzo secolo di denunce in tal senso, ancora oggi fa sottostimare le violenze. Violenze che si presentano sotto più aspetti. Violenze psicologiche interiorizzate in donne che, almeno una volta nella loro vita, saranno costrette a rimpiangere il proprio genere e viverne la frustrazione. 

Diciamolo facile: l’Italia è un paese sessista. Lo dimostra tra le righe delle leggi che scrive le quali, nei fatti, tolgono la libertà di espressione e di scelta delle donne sul proprio corpo e sul proprio futuro. A partire dalla nascita, saranno per sempre relazionate ad un uomo tramite il cognome, senza diritto di scelta. Saranno prima figlie di loro padre e poi mogli dei loro mariti e i loro figli saranno nominalmente figli dei padri, in quanto il cognome non appartiene alle donne secondo le norme dello Stato italiano. 

Da figlie del padre a figlie di uno Stato che non ha ben chiaro che diritti conceder loro e come dar loro dignità, le donne vengono svestite della loro natura umana e trasformate in un semplice oggetto dai legislatori, vengono trasformate in madri spogliando questo termine del suo significato più intimo. 

Partendo dal presupposto che il welfare delle famiglie a tutela delle genitorialità è praticamente nullo o inesistente e che nè i genitori nè le aziende sono tutelati e supportati nel contesto sociale che vogliamo considerare (la paternità è praticamente inesistente e le aziende non hanno alcun supporto nell’assumere donne che potrebbero potenzialmente iniziare una gravidanza e che, pertanto, vengono più facilmente scartate ai colloqui) vediamo come, nonostante ormai quasi un secolo di battaglie sui diritti femminili, la genitorialità sia tuttora considerata un ambito unicamente femminile nei suoi onori e nei suoi oneri, e, come novità degli ultimi decenni, si stia per di più trasformando anche in un privilegio per pochi. 

Analizziamo le due facce della medaglia per meglio comprenderne il significato.

IVG, ossia Interruzione Volontaria di Gravidanza. Se leggiamo nei dettagli le ultime relazioni del Ministero della Salute sull’argomento vediamo ripetersi gli stessi commenti e le stesse conclusioni da anni. Nonostante la relazione ultima pubblicata, risalente ai dati del 2017, sia stata consegnata con quasi un anno di ritardo, gli scriventi arrivano alla conclusione che il lavoro per la prevenzione delle Interruzioni di Gravidanza sia svolto adeguatamente: il carico di lavoro sui singoli ginecologi, infatti, non risulta gravoso e in media le gravidanze vengono interrotte entro le 8 settimane. Dandosi, quindi, una pacca sulla spalla, affermano che il motivo delle riduzioni delle IVG sia legato, a loro parere, all’utilizzo delle contraccezioni di emergenza e che in fin dei conti l’Italia, per quanto svolga meno IVG rispetto ad altri paesi dell’UE stia facendo un buon lavoro. 

Si aprono però una serie di criticità. Nelle 60 pagine redatte dal Ministero non compare alcun sistema di valutazione della qualità del servizio, nessuna valutazione della capacità del sistema nei consultori, nessuna mappatura dei luoghi in cui vengono praticate le IVG: per quanto infatti siano note ai redattori quali siano le 381 strutture in totale sul territorio, non vi è un elenco unico accessibile alle cittadine e ai cittadini che ne avessero bisogno. Se una donna, per motivi disparati che non sono di interesse alcuno nè per noi nè per il legislatore, decidesse di approcciarsi ad una IVG, le notizie che troverebbe sui siti della propria città di appartenenza sarebbero scarse o nulle. Non vi è alcuna valutazione della qualità del servizio nonostante la delicatezza dell’argomento e nonostante le accuse delle associazioni sui maltrattamenti in corsia. Coloro che se ne avvalgono, tutt’oggi, vengono trattati sia dalla politica che da parte della società come “delinquenti” e/o “irresponsabili”. I consultori, in carenza cronica di personale, si trovano ad avere orari sempre più ridotti. Non vi sono vantaggi per i ginecologi, primi fautori delle obiezioni, dal punto di vista lavorativo. In tal senso, la relazione non fa alcuna distinzione in termini di età e di motivazione della scelta dell’obiezione, non indaga mai le condizioni lavorative dei professionisti. Qualora questi ultimi scegliessero di non obiettare (e sottolineiamo qui che, stando ai dati, sono la minoranza dei ginecologi), si trovano spesso da soli di fronte ad un carico di lavoro che li costringe a spostamenti a livello regionale per poter svolgere il servizio in più sedi, diventando più una vocazione che un atto di professione. 

Ci teniamo a sottolineare, avendo aperto la parentesi obiezione, che in Italia vi sono realtà, come il Campus Biomedico, in cui gli specializzandi in Ginecologia subiscono pressioni per non eseguire le IVG, non imparando di fatto la pratica, fino alla vera e propria imposizione di una condotta basata sull’obiezione di coscienza. Abbiamo in tal senso già denunciato alcune settimane fa quanto accadeva chiedendo di eseguire un’indagine nelle Scuole di Ginecologia e Ostetricia italiane per identificare tutte le scuole, anche statali, in cui la formazione inerente i temi dell’aborto e della contraccezione sia carente e rivalutarne l’accreditamento. Secondo l’Art. 9 della legge 194, infatti, è il personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza esclusivamente in base ad una scelta personale, e non come linea dettata dalla scuola o dal posto di lavoro. Inoltre, tutti i ginecologi dovrebbero essere chirurgicamente formati per poter intervenire in caso di emergenza.

Dettaglio non sottolineato nel riassunto iniziale delle 60 pagine della relazione e che ci teniamo però a sottolineare qui è il peggioramento delle liste di attesa per la procedura. Ciò comporta, da un lato, un maggior accesso all’IVG d’urgenza e, dall’altro, un peggioramento del servizio e un aumento del rischio di ricorso all’aborto clandestino, pratica ancora in uso che si stima tra le 10000 e le 15000 unità all’anno (dati, questi, seppur incerti, stabili da anni). Sottolineiamo, in qualità di professionisti, come tali liste sarebbero ridotte se, contrariamente a quanto tutt’oggi accade, ci si avvalesse maggiormente della pratica dell’aborto farmacologico. Attualmente usata solo nel 17,8% dei casi, nonostante la sua dimostrata sicurezza, tutt’oggi, in Italia prevede il ricovero seppur non vi sia la non necessità di una stretta osservazione della paziente. In qualità di professionisti riteniamo che un suo maggior utilizzo sarebbe un sollievo sia per le liste d’attesa che per le pazienti, ma anche per gli stessi professionisti ginecologi data la rapidità della pratica. Inoltre, si avrebbe un enorme risparmio dal punto di vista economico per il nostro Servizio Sanitario stesso. 

Ma se al nostro Stato non bastava controllare il corpo della donna e la genitorialità tramite la scelta di non essere genitore, c’è un altro contesto su cui agisce in maniera paradossalmente più precisa e curata. Se si cercano informazioni sulla Procreazione Medicalmente Assistita, infatti, notiamo quanto segue. 

A livello Ministeriale la relazione annuale arriva con una maggiore puntualità e precisione in un fascicolo della lunghezza di oltre 260 pagine. Da subito ci condividono i seguenti numeri: in totale sono state trattate in Italia più di 50.000 coppie con un’età media di 36,7 anni. Senza voler entrare nei dettagli della tecnica che, comunque, mostra un accesso in età avanzata e una percentuale di successo inferiore al 10% viene da porci alcune domande sulla legislazione italiana. L’articolo 5 della legge 40/04 definisce i requisiti per l’accesso nei nostri confini alla pratica della PMA e questi sono i seguenti: “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Questa cosa significa? Che in Italia l’accesso ad un servizio pubblico e fare una famiglia, più o meno numerosa che sia, diventa non solo un desiderio o qualcosa che capita, ma un lusso destinato a pochi. Questo non solamente in considerazione degli stringenti paletti di accesso, ma anche sulla base della valutazione del servizio pubblico offerto. Come per l’IVG, a livello pubblico, vi è una costante svalutazione del servizio, che seppur presenti ambulatori quotidiani, soprattutto nei centri maggiori, necessità di passaggi dagli ambulatori per l’infertilità di coppia, spesso definanziati e con lunghe liste d’attesa. Il pellegrinaggio verso il privato diventa, quindi, quasi un obbligo per coloro che desiderano costruire una famiglia. 

Nel continente Europeo i criteri legali sono piuttosto eterogenei: dieci paesi hanno aperto questo diritto a tutte le donne, altri dieci lo hanno aperto solo alle coppie eterosessuali, sette lo hanno riservato alle donne sole e uno (l’Austria) alle coppie femminili omosessuali. Contando queste differenze a livello europeo, quindi, possiamo aggiungere un altro tassello alla relazione Donna – Stato Italiano: decidere di avere un figlio, per una donna in Italia, qualora single o omosessuale, diventa un lusso, tramite l’accesso alla PMA estera con pagamento di ingenti somme di denaro. 

In tutto questo non possiamo non sottolineare ancora come la cura riservata dal nostro Stato a questo servizio sia di netto superiore a quella che garantisce al servizio opposto: indipendemente dalla puntualità e precisione che mette nella sua relazione, infatti, per questo servizio riserva una mappatura dettagliata, sia di servizi pubblici che privati, in un sito specifico consultabile da tutti i cittadini regolarmente curato e aggiornato dall’Istituto Superiore di Sanità. 

Se vogliamo parlare di scelta e diritto di genitorialità non possiamo farlo scindendolo in più fattori, ma dobbiamo prenderlo nel suo complesso, contando la mancanza del welfare e valutando a chi viene data possibilità di fare cosa. I messaggi che in questo senso riceve la donna in Italia dallo Stato e dal Servizio Sanitario Nazionale sono ambivalenti. Partendo dalla mancanza di tutele chiare, da un lato non vi è garanzia di un servizio semplice e accessibile qualora la donna, per desiderio personale, mancanza di sostegno economico o per qualsiasi altra violenza sociale in cui possa trovarsi, decidesse di accedere all’IVG, ma in contemporanea, qualora si sentisse pronta lavorativamente, economicamente e mentalmente, non ha il diritto di accedere al servizio opposto se non accompagnata da un uomo che sia un comprovato compagno. Potrebbe sembrare paradossale pensando che stiamo parlando di un Paese che ha provato ad organizzare il Fertility Day, ma poi basta ricordarsi che quest’ultimo era incentrato unicamente sulla fertilità femminile e allora tutto torna al suo posto: il controllo del corpo delle donne al centro dell’agenda politica. In questo senso il messaggio nascosto dalla politica è di una chiarezza disarmante: il tuo corpo non è tuo, non puoi farci quello che desideri e quando. La politica attuale continua, quindi, imperterrita, nel suo messaggio base di visione di una famiglia non solo eteronormata, ma “naturale”, laddove, in realtà, la naturalità di questa visione è solo negli occhi di un legislatore non in grado di vedere come l’unica cosa naturale sia l’amore che donne e uomini sono in grado di dare nella genitorialità…quando lo Stato glielo concede. 

http://temi.repubblica.it/micromega-online/ass-coscioni-194-sotto-attacco-in-aumento-aborti-clandestini/

http://www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm

http://old.iss.it/rpma/

https://www.internazionale.it/notizie/orlane-jezequelou/2019/11/18/procreazione-medicalmente-assistita-europa

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