Non si può morire di lavoro!

Aveva 38 anni la dottoressa Carta, Medico di Medicina Generale di Dorgali, uno di quei comuni sardi colpito da invecchiamento della popolazione, spopolamento e carenza di servizi.
“Medico di base”, medico di famiglia, medicina generale… il lavoro del MMG nell’immaginario comune è un lavoro semplice, che non richiede competenze particolari, dove si lavora poche ore al giorno.

La realtà non potrebbe essere più diversa. Dedicarsi alle cure territoriali è diventato un incubo e ormai sempre meno colleghe e colleghi e giovani scelgono questa carriera.
Il lavoro va molto oltre le ore di contatto diretto con il pubblico, che comunque sono insufficienti per garantire le cure adeguate a una popolazione sempre più vecchia, con esigenze complesse dove la polipatologia e la politerapia sono la norma.

La burocrazia, ingombrante in ogni settore della medicina, per chi fa MMG è ormai un macigno, con un legislatore che non aiuta e sembra divertirsi a complicare ogni giorno di più il lavoro di chi esercita nel territorio.

Ormai i telefoni e le mail a ogni ora sono la norma e i resoconti delle colleghe e dei colleghi parlano chiaro: pc portati in vacanza, difficoltà a trovare sostituti e vacanze cancellate, anche all’ultimo, lavoro portato a casa e caselle mail ancora da finire di leggere  la sera tardi, dopo aver salutato il resto della famiglia, già ormai a letto, senza una fine, in quanto anche nel weekend il lavoro di accumula..

Un lavoro che si svolge senza dar consegne, senza nessun collega che entra in turno che dà il cambio, che si svolge nella quasi totale assenza di tutela rispetto a diritti fondamentali dei lavoratori e delle lavoratrici come la maternità, il diritto alla malattia, il diritto alle ferie.

La situazione e il carico di lavoro diventa ancora più drammatico dove la situazione sanitaria è più in crisi.
Dove gli ospedali sono più lontani, dove è più difficile avviare cure domiciliari integrate con i servizi infermieristici, dove le visite specialistiche sono lontane kilometri e la popolazione anziana non ha servizi per recarsi alle visite, sempre più lontane nel tempo e nello spazio, il medico di medicina generale rimane solo, con un carico opprimente e senza strumenti.

Abbiamo già denunciato una volta la situazione della Sardegna, dove da quasi un decennio interi comuni, lontano da ospedali e servizi, sono privi di medici di medicina generale, dove spesso la continuità assistenziale (un servizio che nasce con scopi diversi) diventa l’unico servizio garantito, senza possibilità reale di prendere in carico e conoscere il paziente, dove non si riesce a mettere in piedi un servizio adeguato di cure durante l’invasione dei turisti in estate.
La situazione sarda di oggi è la realtà dell’Italia intera domani e lo vediamo con le difficoltà a reperire servizi adeguati ormai anche nelle grandi città.

Da chi organizza i servizi non arrivano risposte per gestire le carenze: solo deroghe che permettono di lavorare di più, avere più pazienti in carico, coprire le assenze e le malattie dei colleghi…

Ed è così che Maddalena Carta a 38 anni si è trovata sola, a gestire oltre il massimo dei pazienti previsti dagli accordi che dovrebbero regolamentare la medicina territoriale, si è trovata sola senza poter lasciare il posto di lavoro, nell’ennesima giornata a gestire oltre 5000 pazienti, nell’ennesima giornata di ordinaria urgenza, urgenza che ormai è la normalità e quotidianità, da sola, con il corpo che lancia segnali d’allarme: un malore, ma non si può allontanare, non ci sono colleghi, i pazienti sono molti, il lavoro arretrato sempre crescente e la giornata ancora lunga.
E il corpo continua a lanciare segnali, ma non c’è tempo di prestare attenzione quando sei l’unico medico per più di 5000 persone. Solo a fine giornata la dottoressa Carta si concede di prendersi cura del proprio malore. Ma ormai è tardi.
La dottoressa Carta morirà al Brotzu di Cagliari, lasciando la propria comunità sgomenta e sotto shock – e ancora più sola.
Non si può morire di lavoro a 38 anni. Non si può morire di lavoro.

Chiediamo diritto alla salute, alla malattia, alle ferie, al rispetto degli orari e a un numero congruo di pazienti e di lavoro, anche tenendo conto delle specificità territoriali, delle difficoltà a ospedalizzare in alcuni territori (aumentando quindi il carico per ogni professionista), chiediamo il diritto a una vita dignitosa per tutte e tutti, medici di medicina generale compresi.

Chiediamo di non morire di lavoro, in Sardegna come ovunque!

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