Stamattina alla manifestazione “Sanità Pubblica e per tutti” organizzato da Fp Cgil Nazionale è intervenuto Nicola Pelusi, medico in formazione in medicina generale. Alla presenza del ministro della Salute Roberto Speranza e del segretario generale della CGIL Maurizio Landini, ha portato la voce dei camici grigi, dei medici in formazione e dei medici precari.
Di seguito il testo completo dell’intervento:
“Salve a tutte e tutti, sono Nicola, un medico in formazione nell’ambito della medicina generale. Oggi mi è stato chiesto di parlare del percorso che porta una o un diplomato a diventare un medico pienamente formato inserito nel SSN.
Ecco, forse dirò qualcosa di scontato a molte e molti ma fin dall’inizio, fin dal test d’ingresso ai corsi di laurea in medicina c’è qualcosa di profondamente ingiusto nel nostro sistema formativo. Un diplomato o una diplomata si trova ad affrontare un test a crocette che, numeri alla mano, è strutturato per escludere più che per selezionare. Un meccanismo squisitamente classista che premia chi può permettersi di pagare costosi manuali e costosissimi corsi di preparazione, chi può permettersi un trasferimento in qualsiasi città d’Italia pur di studiare e, magari, chi non ha necessità di lavorare d’estate.
Chi dovesse riuscire comunque a superare il test si troverà ad affrontare almeno sei anni caratterizzati sì da un carico di studio importante ma, ancora una volta, anche da importanti barriere di carattere economico. Un sistema di diritto allo studio quasi inesistente, libri di testo che tipicamente hanno un prezzo a tre cifre, caro affitti e tasse universitarie spesso non trascurabili. La nostra formazione spesso sarà l’ultima delle priorità di chi avremo davanti, gli Atenei e gli ospedali sono aziende e spesso il personale docente, in gran parte incolpevolmente, vede l’insegnamento come una seconda o terza professione.
Dopo laurea ed esame di stato ci si trova ad essere medici a tutti gli effetti, in grado di esercitare la professione medica sì ma solo precariamente, si entra quindi nel mondo dei cosiddetti camici grigi: sostituzioni, guardie mediche, case di riposo e corsi di formazione sulla sicurezza. Tutto sempre in una situazione di precarietà esistenziale che porta molte e molti a non volere altro che poter uscire da questa condizione. Come? Continuando la propria formazione medica mediante una scuola di specializzazione o un corso di formazione specifica in medicina generale. Una volta terminati infatti si ha modo di lavorare nella medicina ospedaliera, nei servizi o sul territorio e diventare a tutti gli effetti medici e mediche del SSN.
Da anni la programmazione degli accessi alle scuole di specializzazione ha previsto che i posti messi a disposizione siano minori delle candidature. In questo modo siamo arrivati a una situazione in cui, paradossalmente, nei reparti e sul territorio mancano medici pienamente formati ma nel 2020 sono state stanziate circa 13mila borse per 24mila persone. In questo modo anche quest’anno avremo più di 10mila colleghe e colleghi che non potranno continuare la loro formazione nonostante ce ne sia disperato bisogno, e penso che non serva citare la pandemia attuale per dimostrarlo ma basterebbe chiedere a qualsiasi cittadino o cittadina se sente che la sua salute sia pienamente tutelata dal SSN.
Una volta entrate e entrati in scuola di specializzazione ci si ritrova a lavorare a tutti gli effetti, spesso sorreggendo l’attività clinica di reparti provati dal definanziamento cronico in cui versa la sanità. Ciononostante si è inquadrati come studenti e studentesse, quindi senza le tutele che comunemente dovrebbe avere qualsiasi lavoratore e lavoratrice: senza un monte orario definito, senza garanzie in caso di malattia, infortunio o gravidanza e con una retribuzione ridicola. In aggiunta la nostra formazione è sempre messa in secondo piano rispetto alle esigenze assistenziali dei reparti in cui prendiamo servizio.
L’ingresso al corso di formazione in medicina generale soffre della stessa carenza in termini di accessi ma è organizzato su base regionale, ogni anno bisogna attendere che le regioni si mettano d’accordo su tempi e modalità del concorso per emettere un bando che, anche per questo motivo oltre che per ritardi ministeriali veri e propri, tende a slittare di qualche mese ogni anno negli ultimi anni.
Una volta entrati al corso ci si deve presto abituare all’idea di essere completamente in balia degli eventi, in un corso che sulla carta può sembrare perfetto, ma che nella pratica diventa una lotta tra la necessità di raggiungere il monte ore, i tutor ospedalieri che spesso ci vedono come impicci, disorganizzazione amministrativa e turni in CA per poter raggiungere uno stipendio adatto ad arrivare a fine mese.
Dal punto di vista pratico, forse unico caso in tutto il mondo, la medicina generale non ha alcun inquadramento accademico e il corso è completamente gestito da un sindacato e dalla società scientifica del sindacato stesso.
Alla fine dei tre anni il corsista medio tira un sospiro di sollievo per aver superato quello che più che un periodo formativo è una sfida di resistenza da superare per poter esercitare la professione di MMG.
Infine, una volta pienamente formate e formati, ci troviamo davanti un SSN talmente definanziato che, nonostante avrebbe bisogno del nostro operato, fatica ad assumerci e quando lo fa spesso è, ancora, attraverso forme contrattuali precarie quali le collaborazioni a partita IVA.
Spero che finora sia emerso un tema fondamentale: per garantire il diritto alla salute della popolazione e la dignità di chi per la salute lavora c’è necessità di intervenire su tutta la filiera formativa, al di fuori da facili logiche corporative o di retroguardia.
Non è sufficiente difendere le miserie del presente, serve immaginare e costruire un SSN nuovo, che possa essere SSSN. Serve una rivoluzione della programmazione della formazione medica: eliminare il cosiddetto imbuto formativo, superare il numero chiuso in modo da avere le e i professionisti sanitari che ci servono; per costruire da zero una rete territoriale per la salute mentale, per potenziare esponenzialmente i dipartimenti di igiene e medicina preventiva, per potenziare la medicina generale e integrarla maggiormente al SSN, per riaprire reparti chiusi, per portare presidi specialistici fondamentali anche nelle province e nelle periferie e non lasciare che sia un’offerta privata che specula sulla salute a farlo, per consentire a chi lavora di farlo con serenità e con un monte ore adeguato, per avere ricercatori e ricercatrici con una formazione sanitaria.
Serve una riforma dei contratti di formazione medica, che superi l’ibrido studente-lavoratore, che tuteli i diritti fondamentali e che consenta di non porre mai la qualità della formazione in secondo piano; che stabilisca una graduale assunzione di competenze rispetto alle quali il medico in formazione possa prestare la sua opera in autonomia (come già spesso fa in maniera irregolare pur di tutelare il diritto alla salute altrui) e che trovi una sua collocazione sensata in un CCN della formazione medica.
Oggi è presente un rappresentante del governo, il ministro Speranza, sappiamo che non è la prima volta che sente simili ragionamenti, nei mesi passati ci siamo mobilitati e mobilitate, migliaia di colleghe e colleghe da tutta Italia hanno messo da parte un pezzetto di egoismo e si sono messe e messe a disposizione per i diritti di tutte e tutti.
Abbiamo riempito più di 20 piazze in tutta Italia, abbiamo bloccato reparti ospedalieri e i risultati sono arrivati, abbiamo sentito molte promesse sia dal ministero della Salute che da quello di Università e Ricerca, responsabile della formazione post-laurea. Ciononostante l’imbuto formativo è ancora lì, di riforma del contratto dei medici in formazione non se ne vede neanche l’ombra e la medicina generale è sempre abbandonata a sé stessa.
Vorrei capire cosa aspettiamo se non una crisi sanitaria in cui il SSN è rimasto in piedi solo grazie al sacrificio di chi ci lavora per mettere mano a una riforma radicale che possa garantire il nostro diritto alla formazione e al lavoro ma soprattutto il diritto alla salute della popolazione. Cosa aspettiamo se non un momento in cui abbiamo a disposizione risorse straordinarie da spendere anche e soprattutto in sanità? Cosa aspettiamo se non il momento in cui ci sono rappresentanze di tutta la filiera formativa e di tutte le categorie lavorative che pretendono questo cambiamento?
Mi permetto di aggiungere un appunto, in questo momento 24mila aspiranti specializzandi e specializzande aspettano di vedere pubblicata una graduatoria bloccata da ricorsi frutto dell’incapacità del MUR di scrivere un bando di concorso decente, approfitto di quest’occasione per chiedere al Ministro Speranza di prendere posizione su questo tema e pretendere che la graduatoria venga sbloccata, che vengano assegnati i posti in base alla stessa e che in caso di vittoria dei ricorsi vengano stanziate borse aggiuntive per coloro i quali dovessero averne diritto. Questo non solo per tutelare queste 24mila persone ma soprattutto perché per tutti i motivi già detti non possiamo permetterci ulteriori ritardi nella formazione del personale sanitario.
Sono anni che ci viene chiesto di avere pazienza, che ci viene detto che un passetto alla volta i miglioramenti arriveranno, la pazienza è finita e vogliamo tutto, ora. Ci sono le risorse e c’è il bisogno di un cambiamento radicale che metta i fabbisogni di salute della popolazione e la dignità di chi ci studia e lavora al centro dell’organizzazione del SSN. Ci saranno altre crisi, quasi inevitabili per via di cambiamenti climatici, sfruttamento ambientale e allevamento intensivo, in attesa di risolvere anche questi problemi farsi trovare nuovamente impreparati sarebbe criminale, e non è detto che vada tutto bene.”