Il Consiglio dei Ministri, questa notte, ha approvato un decreto-legge che introduce misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. In particolare il decreto aumenta di 5000 unità le borse di specializzazione medica e prevede l’assunzione temporanea per sei mesi come lavoratore autonomo o mediante contratto co.co.co (contratto di collaborazione coordinata e continuativa) di 5.000 medici, 10.000 infermieri e 5.000 operatori sociosanitari. A questi incarichi di lavoro autonomo, di durata non superiore a sei mesi, prorogabili in ragione del perdurare dello stato di emergenza, possono accedere medici specialisti, medici specializzandi agli ultimi due anni di specializzazione, e medici abilitati. Pur comprendendo, in un momento di emergenza come questo, la necessità di forme di reclutamento straordinarie, non capiamo perché, anche in una situazione di acclarata carenza di personale, si preferisca ricorrere alle Co.Co.Co., alimentando la già ampiamente diffusa condizione di precarietà del personale sanitario (medici in formazione specialistica, professionisti della salute pagati a cottimo, medici a gettone pagati dalle cooperative) piuttosto che provvedere alla stabilizzazione dei professionisti della salute. Inoltre, l’aumento delle borse di specializzazione previsto, se non accompagnato dallo sblocco del turn-over, non fa altro che spostare l’imbuto formativo in avanti, ovvero tra specializzazione e mondo del lavoro.
C’è, infatti, un’emergenza cronica nel nostro paese, quella creata da un paradosso: nello stesso momento in cui si rende evidente la carenza di medici adeguatamente formati per operare in alcuni servizi (le medicine interne e i pronto soccorso del Veneto ci avevano già dato un’idea del fenomeno), migliaia di medici non possono proseguire il proprio percorso formativo oltre l’abilitazione, mentre i medici già specialisti non vengono assunti. Negli ultimi anni, Stato e regioni hanno messo in atto manovre emergenziali, con l’intento di rispondere in pochi mesi ad un problema causato da decenni di errata programmazione del fabbisogno di salute della popolazione. Ciò a discapito, prevedibilmente ed inevitabilmente, della qualità della formazione dei professionisti della salute. Dequalificare la formazione medica non può che portare ad uno scadimento della qualità dell’assistenza ai pazienti.
L’emergenza COVID-19 sta mettendo alle strette un’organizzazione già in sofferenza per il continuo definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, portando alla luce, in maniera inoppugnabile, come, alla carenza di personale nelle strutture sanitarie si sopperisca quotidianamente con lo sfruttamento dei medici in formazione specialistica. Al contempo, gli atteggiamenti che le diverse scuole, aziende sanitarie e università stanno adottando nei confronti degli specializzandi dimostrano quanto il ruolo e l’impegno dei medici in formazione specialistica sia scarsamente riconosciuto e considerato. Negli ultimi giorni, abbiamo ricevuto diverse segnalazione di casi in cui, ai medici in formazione specialistica, è stato negato l’uso dei dispositivi di protezione individuale (mascherine FPP2) in quanto “previsto per il solo personale strutturato”. In altri casi, ad alcuni medici specializzandi, sottoposti a sorveglianza attiva ed isolamento fiduciario per avere avuto contatti a rischio, è stato comunicato, dagli uffici amministrativi dei rispettivi atenei, che avrebbero dovuto recuperare i giorni di assenza al termine della specializzazione (provvedimento assolutamente illegittimo in quanto il contratto di formazione specialistica prevede la sospensione del periodo formativo con successivo recupero solo in caso di impedimenti temporanei superiori ai quaranta giorni lavorativi consecutivi). In alcuni casi la quarantena è stata addirittura interpretata come infortunio, nonostante la presentazione di un certificato di malattia e nonostante il contatto fosse avvenuto al di fuori dell’ambiente di lavoro.
Tali gravi episodi sono solo alcuni esempi più attuali e tangibili della condizione di assoluta discrezionalità, subalternità e mancanza di tutele cui i medici in formazione specialistica, con la loro condizione lavorativa parasubordinata e i corsisti di medicina generale sono soggetti quotidianamente, anche e soprattutto al di fuori della corrente emergenza. Lungi da noi voler sottrarci ai nostri doveri di medici, in particolare in corso di una emergenza sanitaria. Al contrario, vogliamo cogliere l’occasione per aprire una discussione sulla figura dei medici in formazione, il cui ruolo reputiamo assolutamente indispensabile per la tenuta del SSN e che chiediamo sia riconosciuto come tale.La proposta che presentiamo è frutto di una ampia discussione tra specializzandi e corsisti di medicina generale di diverse città d’Italia e di diverse discipline e nasce da un presupposto fondamentale ed irrinunciabile: un testo di legge come il 368/99 (tra l’altro sotto forma di Decreto Legislativo) non basta più. Le mutate condizioni e necessità della Formazione Specialistica esigono un completo rinnovamento della normativa, nell’ottica di affrontare nodi non più rinviabili che riguardano le condizioni lavorative, le garanzie contrattuali, il salario e l’inquadramento giuridico, ma soprattutto la formazione.
In tal senso occorre prima di tutto ridiscutere l’inquadramento giuridico attuale, che configura i medici in formazione specialistica e i corsisti di medicina generale come ibrido studenti-lavoratori, senza la possibilità di contrattazione nazionale, e con un profilo mansionistico scarsamente definito: troppo spesso ci troviamo ad essere dei tuttofare, piuttosto che dei soggetti in formazione.
Dal punto di vista formativo teorico e pratico soffriamo di una estrema eterogeneità, sia fra scuole diverse che all’interno della stessa scuola. Le già citate proposte di istituzione di doppi canali, o addirittura di abolizione del diploma di specializzazione non fanno che incrementare ulteriormente tale eterogeneità. Riteniamo invece indispensabile procedere verso l’istituzione di una certificazione uniforme delle competenze, su base nazionale.
Il DL Calabria ed il DL Milleproroghe hanno reso possibile l’assunzione di specializzandi a partire dal terzo anno. Se da un lato ciò potrebbe portare ad un primo riconoscimento formale del ruolo assistenziale dello specializzando, non deve dall’altro escludere il medico coinvolto dal percorso formativo. L’inserimento lavorativo (al terzo e quarto anno) deve invece procedere parallelamente alla formazione con un mansionario stabilito e regolamentato al livello nazionale. Crediamo inoltre che, alla graduale assunzione di responsabilità, dovranno corrispondere graduali integrazioni salariali, commisurate alle responsabilità previste dal mansionario. Se nel primo biennio la borsa sarà erogata esclusivamente dal MIUR, restando invariata rispetto alle condizioni attuali, nella seconda parte della formazione potrebbe essere integrata da quote crescenti di salario erogato da Regioni ed Aziende. Questo passaggio potrebbe consentire sia di reperire nuove risorse MIUR per la messa a bando di ulteriori borse di specializzazione, sia di colmare la carenza di personale strutturato senza svilire la formazione specialistica.
Infine, un inquadramento di questo tipo permette anche di ricondurre il Contratto Collettivo Nazionale della Formazione Specialistica (CCNFS) all’interno della contrattazione sindacale, in capo all’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni), che diventerebbe la sede preposta per i sindacati di categoria di confronto con il Governo. I medici in formazione specialistica e generalistica sarebbero così coinvolti in prima persona, tramite la rappresentanza sindacale, nelle discussioni e nelle decisioni che riguardano il loro lavoro.
Queste poche righe vogliono essere una prima traccia per una proposta di riforma strutturale della formazione medica e dell’accesso al lavoro nel SSN, da discutere, elaborare e definire con tutte le parti coinvolte, Regioni, Ministeri (Salute e MIUR), sindacati e associazioni. Siamo consapevoli dell’impegno richiesto, ma siamo anche convinti del fatto che non intervenire in maniera decisa e globale oggi, renderà necessari comunque ulteriori sforzi e che sottrarrà ancora ulteriori energie e risorse al SSN nel prossimo futuro.
Come medici abbiamo, infatti, imparato che non basta curare le singole acuzie, ma bisogna agire sulla prevenzione e trattare la malattia di base per salvare il paziente. Allo stesso modo, crediamo che non si possa continuare ad intervenire periodicamente con misure emergenziali, ma che sia necessaria una riforma strutturale del percorso di formazione specialistica e del corso di medicina generale, nell’interesse principale della salute della popolazione.
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