È fine dicembre quando Nadia (Nome di fantasia), scopre di essere incinta. Una bellissima notizia per una giovane donna che, dopo aver sudato il suo titolo in Medicina e Chirurgia è prossima a diventare medico. Nadia inizia a pensare che forse, oltre a dedicarsi alla professione, ci sarà tempo anche per una famiglia. Un meraviglioso pensiero per il nuovo anno alle porte. Al ritorno dalle vacanze di Natale, per prima cosa, si preoccupa di avvertire il primario del reparto a cui era stata assegnata per il suo ultimo mese di tirocinio di Stato, con l’intento di farsi riassegnare ad un reparto chirurgico meno pericoloso, dal punto di vista infettivologico, di quello d’urgenza. Richiesta del tutto legittima e apparentemente semplice anche in considerazione che Nadia, inoltre, aveva già completato con successo il suo periodo formativo presso il medico di Medicina generale e il reparto di Medicina interna a cui era stata assegnata per i precendenti mesi di Novembre e Dicembre.
Purtroppo non è andata così.
Come prima cosa l’Università ha chiesto una certificazione che dichiarasse il suo stato interessante. Successivamente le è stata sottoposta una liberatoria da firmare dove le si chiedeva di sollevare l’Università di Pisa da qualsiasi responsabilità eventuale su danni possibili a lei o al feto. Nonostante, con innocenza e, verosimilmente, per disperazione, Nadia avesse firmato tale liberatoria, il 18 gennaio Nadia riceve una raccomandata che le impedisce, di fatto, di completare la sua formazione e accedere all’Esame di Stato previsto per il giorno 15 febbraio, in quanto, a seguito di una riunione con l’ufficio legale dell’UNIPI e il Rettore, era stata deliberata tale decisione. Tutto questo in nome del Dl. 151/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”.
Come conclusione, dopo Torino, anche l’Università degli Studi di Pisa decide di aggiungere al proprio bando di Esame di Stato l’impossibilità a partecipare in caso di gravidanza e la necessità di dichiarare il proprio status gravidico, pena la denuncia per falso in atto pubblico se si decidesse volontariamente di nascondere il proprio status. Discriminando, di fatto, tutte le studentesse.
Innanzitutto riteniamo grottesca l’inadeguatezza organizzativa di una delle Università più importanti d’Italia che ha portato ad una decisione dopo settimane di “se” e di “ma”. In secondo luogo troviamo a dir poco preoccupante ed ai limiti della legalità la liberatoria che è stato richiesto di firmare alla giovane collega, pericoloso precedente per tutti coloro che volessero inficiare l’importantissima legge 151/01 stessa.
Il buco normativo della donna in gravidanza durante l’esame di stato di abilitazione in medicina si sta ampliando in maniera preoccupante. Da un lato non vi è presenza di un medico competente che si voglia prendere la responsabilità di permettere il completamento di un’attività che molte colleghe hanno eseguito negli ultimi 50 anni senza alcuna complicanza grazie a semplici riassegnazioni; dall’altro le Università che tramite atti legali dimostrano di mettere prioritariamente i loro interessi di fronte al diritto di completamento degli studi e che adottano politiche paternalistiche giustificandosi tramite cavilli legali e preoccupandosi di rischi prevedibili e prevenibili.
L’impressione sempre più evidente è che, dopo il sistema medico settato unicamente sulla figura dell’uomo medico, si stia iniziando a rimuovere i diritti delle colleghe in nome di decisioni che mettono di fronte all’autodeterminazione della singola donna un pensiero, apparentemente superiore, di tutela della gravidanza in nome della salvaguardia della società.
La possibilità di scegliere un percorso alternativo DEVE essere prioritario e prescindibile da qualsiasi scarico di responsabilità delle Università.
Pingback: Tra maternità e diritto allo studio: alla conquista di nuove tutele! – Chi si cura di te?