Riportiamo di seguito l’intervento della dott.ssa Gaia Deregibus, di Chi si cura di te?-Torino, per Mondo Nuovo 2021: il Primo Maggio a Torino.
Buona lettura!
“Parlare di diritti nella sfera della cura non è semplice in quanto la salute è già di partenza un diritto, troppo spesso dimenticato nella società in cui viviamo. Il prendersi cura del nostro corpo, della nostra mente, delle persone che ci attorniano e dell’ambiente che ci circonda è inaccettabilmente negletto sia dalla politica che dai cittadini stessi.
Le politiche sanitarie, sia nazionali che regionali, si sono concentrate nelle ultime decadi sugli ospedali, rendendoli iperspecialistici, e sulla centralizzazione, spesso con l’aiuto di sindacati e associazioni più o meno conniventi, con la convinzione che la cura, quella giusta e quella che salva, sia solo quella ospedaliera. Nel frattempo la nostra popolazione ha perso il senso e la fiducia per la medicina territoriale ed i medici stessi sono passati dalla prevenzione e formazione sanitaria della cittadinanza alla medicina difensiva.
Queste scelte hanno iniziato già da qualche anno, indipendentemente dalla pandemia, a riversarsi sulla curva della qualità della vita dei cittadini e della durata della vita. In entrambi i casi vediamo aprirsi una forbice: da un lato la popolazione più ricca, soprattutto negli ambienti urbani, che si presenta più in salute e con più possibilità di accedere rapidamente a visite ed esami, con una vita più lunga e più sana. Dall’altra, la popolazione più povera, con una salute più scarsa, un livello più alto di patologie croniche, obesità ed invalidità e una durata della vita inferiore e peggiore in termini di salute.
Quello che rivendichiamo, in primo luogo nell’interessa della popolazione tutta, è una medicina territoriale con più strumenti e personale, con spazi più liberi e moderni, dove poter correttamente informarsi e formarsi sulla propria salute, per poterla mantenere il più a lungo possibile. Per fare questo si deve reinvestire su ambulatori territoriali, creando le case della salute di cui si parla da decenni, in cui poter erogare tutta la diagnostica primaria (esami del sangue, esami id primo livello come ecografie, radiografie e spirometrie).
Bisogna formare medici territoriali in numero più elevato e, con essi, formare più infermieri territoriali. Medici e infermieri di famiglia devono essere in numero adeguato e non mega-massimalisti con un numero superiore ai 1600 pazienti. É questa la base per per poter destinare ad ogni paziente il tempo necessario per essere formato e rassicurato oltre che compreso clinicamente, culturalmente ed emotivamente. In tal senso, non dobbiamo più aspettarci, in termini paternalistici, che il paziente sia solo il “figlio” obbediente del medico, ma che, invece, sia capace di prendersi cura di se stesso e di capire quando, veramente, necessita dell’aiuto dei professionisti sanitari. Il compito dei professionisti deve essere non solo di cura, ma anche di formazione.
Rivendichiamo, inoltre, la necessità di garantire il rispetto per il tempo di lavoro e di riposo, considerando che la maggior parte dei medici territoriali è libero professionista o dipendente convenzionato (paga cioè le tasse di un dipendente, ma non ha recupero ore, ferie o malattia). Bisogna, infine, superare il divario fra medicina specialistica ospedaliera e medicina territoriale, restituendo a quest’ultima, il ruolo centrale nella cura della popolazione.”