Il nuovo accordo Stato – Regioni può apparire risolutivo, ma nasconde in realtà i germi della formazione di una ulteriore generazione di giovani medici precari (specialisti e non).
Riportiamo qui di seguito un estratto del patto firmato nei giorni scorsi tra lo Stato e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che desideriamo analizzare attentamente insieme a tutti voi.
Art. 3.
1.Nel rispetto dei vincoli di bilancio, al fine di rendere il sistema più coerente con le specifiche esigenze del territorio, è attribuita alla Regione una maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione, ivi compresa la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi e la loro integrazione operativa con il sistema aziendale. A tal fine, la Regione stipula specifici accordi con le Università presenti sul territorio regionale.
2.Fermo restando il rispetto delle esigenze delle strutture sanitarie e l’organizzazione logistica delle medesime, la Regione può avviare percorsi finalizzati alla stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici, alternativi al percorso delle scuole di specializzazione.
3.La Regione definisce le modalità per l’inserimento dei medici titolari del suddetto contratto di specializzazione lavoro all’interno delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, fermo restando che il contratto in esame non può dare in alcun modo diritto all’accesso ai ruoli del Servizio Sanitario Nazionale, né all’instaurazione di alcun rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso, se non interviene una ulteriore procedura selettiva a tal fine dedicata.
4.La Regione concorda con gli Atenei regionali percorsi per il possibile accesso dei Medici titolari del suddetto contratto alle scuole di specializzazione, nel rispetto dei requisiti di accreditamento delle scuole medesime.
Queste le disposizioni, che di fatto, aprono la strada all’utilizzo indiscriminato di personale medico non specialista nel contesto del Servizio Sanitario Nazionale. In che modo? Tale inserimento avverrebbe tramite contratti a tempo determinato che niente sembrano garantire in termini di future prospettive. Trattandosi, infatti, di contratti stipulati direttamente dalle singole regioni, molto verosimilmente, non daranno adito al conseguimento del titolo di specialista in quanto non inseriti in un contesto di accreditamento del percorso presso il ministero dell’istruzione (come invece avviene nel caso dei percorsi di specializzazione attuali). Non vi è inoltre presenza, nel testo, di alcuna menzione di rilascio di un titolo di formazione. In questo modo, tali contratti, lascerebbero, dopo qualche anno, il giovane medico in una situazione peggiore di quella iniziale.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di più personale, questo è evidente da tempo, ed i giovani medici rimasti esclusi dalla formazione specialistica hanno bisogno di esercitare la propria professione, ma l’elaborazione di questa figura ibrida, che di fatto non è né un medico in formazione specialistica né un dirigente medico, giunge all’indomani della decisione, presa lo scorso dicembre, di non incrementare il numero di contratti di formazione stanziati. Sorge quindi spontanea la domanda: se le regioni soffrono di un deficit di personale medico, tale da dover impiegare personale non specializzato, perché è stato scelto di non finanziare un maggior numero di contratti formativi? Perché la deliberata decisione di lasciare circa 8000 Medici nel limbo tra il conseguimento dell’abilitazione alla professione e l’accesso alla formazione specialistica? Forse perché, attingere proprio da questa sacca per coprire il fabbisogno del Servizio Sanitario Nazionale, ha un costo minore che formare medici specialisti e quindi impiegare questi ultimi?
Questa la soluzione trovata per diminuire il capitolo della spesa sanitaria: utilizzare personale che non ha completato la propria formazione, non per scelta, ma per negato accesso.
Il risultato? Un inevitabile scadimento del servizio offerto dal sistema pubblico e l’ulteriore precarizzazione di un’intera generazione di giovani, siano essi neoabilitati o camici grigi. Dall’altro lato, i neospecialisti rischiano così di vedersi negata l’assunzione nel SSN, in quanto medici, si più formati, ma sicuramente più costosi, di questi giovani tappabuchi facilmente sostituibili grazie ai contratti a tempo determinato ed all’ampia sacca di camici grigi.
Questo accordo mina alla base le garanzie di qualità su cui fino ad adesso si è fondato il Servizio Sanitario Nazionale. Per questo, e per ribadire il nostro diritto a completare il percorso di formazione necessario per esercitare in sicurezza la nostra professione, è nostra intenzione iniziare un percorso di mobilitazione trasversale, in collaborazione anche con la componente studentesca e cittadina, per far ritirare l’accordo già stipulato.
A presto con gli aggiornamenti
#StayTuned
#ChiSiCuraDiTe?

Invece io credo che sia una opportunità di anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di tanti medici che altrimenti sarebbero costretti ad emigrare. Vanno chiariti i termini e le garanzie di qualifica per essere poi tutti uguali di fronte al diritto ma urge una soluzione parallela altrimenti chiudiamo i servizi!!!!
Cara Adelina, ti chiediamo scusa per la latenza di risposta, purtroppo è facile pensare che una toppa possa essere la soluzione del problema quando quello e impellente, ma i rischi di questa proposta sono, a nostro parere ben peggiori, anche noi siamo d’accordo sul fatto che vada trovata una soluzione, ma non a scapito del benessere del servizio, in quanto sulla salute non si può risparmiare.
Se sei interessata possiamo fare dei ragionamenti insieme e spiegare meglio il nostro punto di vista, hai pensato di partecipare ad alcuni dei nostri incontri? Le soluzioni si possono trovare se ragioniamo insieme faccia a faccia.
CSC