Chiunque lavori in ambito sanitario è consapevole di quanto il personale medico in formazione sia fondamentale per l’erogazione delle attività assistenziali. Non solo in termini di supporto ai dirigenti medici, ma di una vera e propria supplenza alla mancanza di personale medico di ruolo. Non è infrequente, anzi, che i medici in formazione svolgano attività cliniche o chirurgiche in completa autonomia, assumendosi responsabilità che non competono loro. Inoltre, la mancanza di un inquadramento di tipo lavorativo (gli specializzandi sono inquadrati come studenti iscritti all’università) e di un contratto che ne definisca le mansioni, rende i percorsi formativi estremamente assoggettabili alle esigenze delle singole aziende ospedaliere ed esclude i medici in formazione dall’accesso ai diritti del lavoro (quali lo scioper e la rappresentanza sindacale).
Dall’inizio della pandemia i medici specializzandi sono al centro delle misure adottate dal Ministero della Salute, dalle Regioni e dalle singole Aziende Ospedaliere per far fronte alla carenza di personale. Tuttavia, il loro coinvolgimento avviene attraverso iniziative non uniformi, con criteri spesso arbitrari, non sempre sulla base delle competenze acquisite per anno di corso o per specializzazione.
Al fine di descrivere in maggior dettaglio tale situazione, anche da un punto di vista quantitativo, insieme con le colleghe e i colleghi si ASUP – Associazione Specializzandi Università di Perugia, ASVer – Associazione Specializzandi di Verona, MeSLo – Medici Specializzandi della Lombardia, abbiamo proposto una consultazione online alle colleghe e ai colleghi in specializzazione (ancora compilabile a questo link: https://forms.gle/NtnxHWSdPE9SB23f6). Abbiamo raccolto risposte da 314 medici specializzandi distribuiti in tutte le regioni che ospitano sedi di Scuole di specializzazione ad eccezione di Basilicata, Calabria, Molise.
I dati raccolti hanno mostrato un quadro estremamente grave per quanto riguarda il reclutamento degli specializzandi nei reparti COVID, lo stato della formazione pratica e teorica, nonché in termini di sicurezza sul lavoro
Dei 314 partecipanti al sondaggio, ⅔ hanno lavorato in reparti deputati all’assistenza di pazienti affetti da COVID-19. Di questi, quasi la metà non appartiene a scuole di area infettivo/respiratoria e, quasi nel 90% dei casi, riferiscono di aver ricevuto una formazione adeguata per fornire assistenza a pazienti affetti da COVID-19.
La maggior parte medici specializzandi ha quindi subito una modifica del proprio piano formativo per essere dirottato in reparti COVID, senza un’adeguata formazione e senza neanche l’accesso alle forme contrattuali previste da DL Calabria o Cura Italia. Le assunzioni sono infatti avvenute solo nel 9% dei casi. Inoltre, 2/3 dei medici intervistati ha riferito che nella propria scuola non è stato previsto un recupero delle attività formative perse. Ciò determinerà uno scadimento della formazione rispetto con conseguente impatto negativo sulla preparazione dei medici che andranno a costituire il futuro SSN.
Non è migliore la situazione per quanto riguarda la formazione teorica. Solo nel 5% dei casi il programma di lezioni è stato svolto regolarmente, mentre nei 2/3 dei casi le lezioni non sono state svolte o sono state svolte solo parzialmente. Il nuovo anno accademico è iniziato decisamente peggio dal punto di vista della didattica: fino al 57% degli intervistati ha risposto che non è stato previsto alcun programma di lezioni e, nel 12% di casi in cui era stato previsto, è già stato interrotto.
Per quanto riguarda i cosiddetti “Bonus COVID” regionali per gli operatori sanitari, su 15 regioni che lo hanno previsto, solo 4 hanno incluso anche gli specializzandi tra i beneficiari. In ogni caso, in nessuna di queste regioni il Bonus per gli specializzandi è stato ancora erogato.
Altra nota dolente riguarda la distribuzione dei DPI fra i medici specializzandi. Nei reparti COVID, in meno dei 2/3 dei casi i DPI vengono forniti sempre e completamente, mentre nella restante percentuale di casi vengono forniti in maniera incostante e parziale. Per chi invece lavora in ambienti non COVID, è molto più frequente la situazione in cui i DPI non vengono forniti regolarmente (non sempre o solo parzialmente). Addirittura, nell’11% dei casi è stato riferito che i DPI non vengono forniti per nulla! Ci duole constatare, inoltre, come vi sia una frequente disparità di trattamento fra medici specializzandi e medici strutturati: questi ultimi accedono più facilmente ai DPI (30% casi), mentre in alcune circostanze i DPI sono addirittura previsti esclusivamente per il personale di ruolo.
In conclusione, era prevedibile che la situazione di emergenza avrebbe acuito le ben note distorsioni del percorso formativo del post lauream in medicina. Nessuno si sarebbe aspettato che le condizioni di lavoro e la formazione sarebbero rimaste inalterate durante la pandemia, come avvenuto per qualsiasi altro settore. Tuttavia, dobbiamo constatare come nulla sia stato fatto per prevenire od attenuare le condizioni insostenibili di lavoro e l’azzeramento della formazione sperimentate durante la prima ondata. Nulla è stato fatto per risolvere le condizioni di scarsa sicurezza in cui lavorano quotidianamente i medici specializzandi, sia per quanto riguarda il rischio biologico sia per quanto riguarda i rischi professionali. I medici in formazione specialistica non sono, in nessuna occasione, venuti meno ai loro obblighi in quanto medici. Ci adopereremo affinché venga garantita loro una formazione postlaurea di qualità, nel rispetto del diritto alla salute della popolazione di oggi e del futuro.
Suggeriamo la lettura dell’appendice, che contiene e testimonianze di alcuni colleghi e colleghe.
Se sei un medico in formazione e non hai ancora risposto al questionario, puoi farlo cliccando qui. In questo modo potremo espandere il campione e fornire maggiori informazioni.
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