Quasi il 20% della popolazione rinuncia alle cure sanitarie.

11 milioni di italiani, oggi, rinuncia alle cure per motivi economici. Erano 9 quattro anni fa, nel 2012. Il 2012 è però anche, secondo i dati OCSE, l’anno in cui la spesa sanitaria ha registrato la maggiore contrazione, che ha raggiunto il 5%. In pratica stiamo assistendo ad un programmato disinvestimento nella salute della popolazione, che immediatamente sta avendo delle conseguenze enormi in termini di esclusione sociale, determinando due milioni in meno di persone capaci di accedere ai servizi in soli 4 anni.
Secondo quello che abbiamo sempre detto, non possiamo non sottolineare come, anche dal punto di vista della formazione dei professionisti si proceda a ritmi serrati nei tagli, visto che anche quest’anno si annuncia una restrizione all’accesso al percorso di studi in medicina, che arriva poco meno di un mese dopo la pubblicazione del bando di concorso per le specializzazioni, che ha fatto registrare, in linea con i precedenti, una totale inadeguatezza rispetto ai bisogni espressi dalle regioni.
Disinvestimento in formazione, disinvestimento in servizi, questi sono i due binari su cui procede lo smantellamento dell’universalismo del nostro Servizio Sanitario, agendo da un lato sull’attuale, con il blocco del turn over, l’abuso delle partite IVA, il precariato e i tagli lineari, sia ai servizi ospedalieri che a quelli territoriali, come mostra ancora una volta la bozza di proposta sul riordino della Continuità Assistenziale (la cosiddetta riforma H16, che, come dice il nome stesso, e come abbiamo scritto sul blog della campagna “Chi Si Cura di Te?”, accorcia le garanzie di servizi territoriali a sole 16 ore, scaricando sui pronto soccorso l’assistenza notturna), ma agendo soprattutto in prospettiva, restringendo l’accesso sia al percorso che alla specializzazione.
Intanto il mondo delle assicurazioni integrative si muove velocemente, il privato guadagna terreno, aumentano le spese “out of pocket”, il che vuol dire che aumentano, e aumenteranno sempre di più le disuguaglianze sociali, con esiti a medio lungo termine disastrosi per la salute della collettività.
Ribadiamo ancora una volta che la risposta non può fermarsi ad una riprogrammazione dei fabbisogni basata esclusivamente su principi economici o unicamente numerici, schiacciandola sul calcolo di quanti entrano e quanti escono, ma, in qualità di concetto complesso, deve fondarsi sulle reali esigenze di salute della popolazione, tenendo conto di tutte le variabili che la caratterizzano. E questo non lo diciamo solo per questioni legate alle prospettive di lavoro della categoria medica, ma perchè, come dimostra questo progressivo allargamento dell’esclusione (11 milioni di persone sono quasi il 20% della popolazione italiana) su base esclusivamente reddituale, c’è bisogno di invertire una tendenza politica che oramai va avanti da anni, e che sta privando tutti noi di un diritto sancito come fondamentale dalla costituzione.
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