Recovery Gender

In queste ore stiamo assistendo a una comunicazione aberrante sulla contrapposizione tra femminismi e sanità.
Il documento del Governo Recovery Plan che spiega come verranno ripartiti i soldi del Recovery Fund è stato accolto da numerose – giuste – critiche per aver lasciato alla sanità le briciole delle briciole.

Pandemia o no, la politica da anni non riconosce la sanità come un settore in cui investire, immettere capitali e stabilizzare personale. Al massimo, e lo sentiamo ripetere da anni, l’obiettivo è minimizzare le perdite, spostare sul privato, precarizzare le generazioni. Non stupisce quindi nemmeno troppo che le cose non cambino con la spesa del Recovery Fund, anche se, va detto, una mossa così esplicita e palese non ce la aspettavamo.
Tra i settori su cui il governo ha deciso di investire, ispirato anche forse dai vincoli di equità con cui il fondo europeo viene stanziato ci sono ambiente e parità di genere. A leggere certe dichiarazioni e certe reazioni di colleghə pare che il nemico della salute pubblica non sia la folle logica di mercato con cui viene gestita la Sanità in Italia, ma il femminismo. Si stanno sprecando i commenti su come la parità di genere, il gender, il politically correct e chi più ne ha più ne metta sottraggono fondi che potrebbero essere destinati alla salute pubblica. Addirittura il “comunista” Rizzo è intervenuto sull’argomento, ironizzando su malasanità e Boldrini al posto di Mattarella.
Facciamo un po’ di chiarezza.
Il Servizio Sanitario Nazionale è sistematicamente definanziato da vent’anni a questa parte e no, i soldi recuperati non sono stati investiti nelle milizie del gender che hanno portato la rivoluzione fucsia nelle nostre strade – anche se questo ci è costato qualche posto in rianimazione. Anzi, il nostro Paese continua a essere uno dei più sessisti e omobitransfobici d’Europa. I dati su femminicidio e violenza relazionale continuano ad essere allarmanti, come le differenze di trattamento economico. La ripartizione del carico di lavoro casalingo e il welfare familiare ci raccontano un’Italia tutt’altro che transfemminista per cui possiamo stare tuttə serenə, non è il femminismo il motivo per cui sono spariti e continuano a sparire posti letto e la formazione post universitaria è bloccata in un imbuto che si ingigantisce di anno in anno. Ovviamente altre voci di investimento come istruzione, digitalizzazione e transizione ecologica, tutte più finanziate di sanità, non hanno attirato lo stesso clamore, evidenziando quanto basti solo citare la parità di genere per allarmare politici e opinionisti. Innanzitutto si dovrà vedere come la spartizione annunciata del fondo europeo si trasformerà in investimenti concreti. Il documento del governo, per quanto corposo, è poco più di un adattamento locale alle linee guida europee sulla spesa del Recovery Fund.
Inoltre in anni di battaglie ecologiste abbiamo imparato a diffidare del reale impatto di politiche economiche che si professavano green, di transizione economica dietro cui si celavano gli stessi principi consumistici fautori della distruzione del pianeta. Allo stesso modo aspetteremo di vedere con attenzione a chi verranno destinati i 4,2 miliardi per parità di genere e per fare cosa.
Il Recovery Plan poteva essere un’occasione mancata per ossigenare il settore sanitario, così pesantemente asfissiato dalle politiche degli ultimi decenni e dalla pandemia in corso. Ma l’utilizzo di fondi speciali una tantum non è la soluzione alla crisi che stiamo vivendo. La risposta alla privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale non può essere chiedere di dare meno soldi alla lotta alle discriminazioni di genere per racimolare un anno qualche miliardo in più. Occorre ripensare drasticamente alle nostre priorità economiche e politiche, ai modelli di organizzazione sanitaria e trovare soluzioni programmatiche e stabili nel tempo per combattere la precarietà, l’imbuto formativo e garantire a tuttə il diritto alla Salute.

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