Siamo specializzande, dottoresse in formazione di medicina generale, siamo quelle che dopo anni di studi vivono la lunga transizione per l’accesso alle professioni mediche. Siamo nelle corsie, negli ambulatori, nei pronto soccorso, nei consultori. Ci occupiamo di voi e della vostra salute.
Abbiamo raggiunto livelli di formazione impensabili fino a qualche decennio fa. Le nostre nonne non avrebbero mai immaginato che tutto questo sarebbe successo: e invece adesso siamo così tante che le studentesse in medicina sono più del 65% del totale. Siamo così tante che in numero abbiamo superato i colleghi uomini, eppure…
Nonostante queste cifre, viviamo in un sistema maschile, che limita, fin dalle prime esperienze lavorative, la nostra libertà di scelta tramite la quasi totale assenza di tutele, i ritmi serrati della formazione specialistica e le difficoltà di accesso alle garanzie della maternità. Molte di noi continuano a dover scegliere tra famiglia e carriera, senza alcuna possibilità di conciliazione: una gravidanza è in grado di rappresentare una vera e propria interruzione, per anni, del percorso professionale. Accade persino di sentire di studentesse incinte a cui non è stato permesso di accedere al tirocinio per l’abilitazione medica.
E una volta abilitate? Siamo ancora vittime dell’idea per la quale il medico è uomo, mentre la donna è l’infermiera che da LUI dipende. Non è una questione solo linguistica, perché si ripercuote concretamente nelle condizioni materiali in cui esercitiamo la professione, a partire dall’impianto gerarchico che esiste in corsia, fino ad arrivare alle discriminazioni che subiamo in termini retributivi.
Ma siamo anche specializzandi, dottori in formazione di medicina generale, camici grigi: non possiamo più accettare un sistema gerarchico, costruito sulla base dei ruoli di genere, nel quale la dignità di noi giovani è sotto attacco per via dell’assenza strutturale di tutele.
E’ giusto accontentarci di un sistema professionale tarato unicamente sul sesso maschile?
Di un sistema in cui la dignità delle professioniste viene continuamente messa in discussione da una cultura sessista, in cui siamo continuamente soggette a forme di mobbing e molestie sessuali da parte di colleghi e pazienti?
Per quanto ancora dovremo vedere limitate le nostre aspirazioni da un sistema gerarchico nel quale siamo di fatto considerate come lavoratrici di serie B?
Fino a quando saremo tutte e tutti esclusi dalle tutele e dagli strumenti di difesa della nostra dignità nell’attività professionale?
Quanto dovremo aspettare ancora per avere accesso ai servizi degli asili nido aziendali, alla paternità ed al part-time?
Il 4 e 5 Febbraio abbiamo contribuito alla partecipatissima assemblea nazionale del percorso di “Non una di meno”, che il 26 Novembre ha portato in piazza una marea di 200 mila persone contro tutte le forme di violenza sulle donne. Verso l’8 Marzo si è deciso di rilanciare anche in Italia lo sciopero globale delle donne, al quale hanno aderito già 30 diversi paesi.
Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo!
Se ancora non ci è garantito il diritto di scioperare in senso tradizionale, di astenerci dalle nostre attività professionali, aderiremo alla giornata nelle corsie dei nostri ospedali, nei nostri dipartimenti: sosterremo in tutte le forme possibili lo sciopero globale, per rivendicare il superamento delle discriminazioni che subiamo, per una concreta prospettiva di autodeterminazione che metta al centro la dignità delle nostre esistenze.
#LottoMarzo #NonUnaDiMeno