Ci siamo, pure per questo anno, è uscito il bando per il nuovo concorso SSM 2018.
Dopo averlo letto… bhe! Non può che rimanere in bocca il solito amaro che ben conosce chi, giorno dopo giorno, viene colpito da un sistematico e costante smantellamento del sistema di welfare in cui crede e in cui vorrebbe trovare uno sbocco professionale.
Non ci siamo stupiti, ci immaginavamo bene che per quest’anno, alla luce dello scenario politico, in cui ci troviamo, grosse rivoluzioni non sarebbero potute essere possibili: sono passati mesi, un governo ancora non c’è, ma, per evitare la confusione dell’anno scorso, il bando doveva uscire e così è stato: viene riproposto paroparo il test dello scorso anno, eccezion fatta per due o tre cose come per l’organizzazione delle macro aree.
Niente di tutto quello che diciamo sarebbe necessario per un cambiamento vero e per una risoluzione del problema sanitario e della formazione specialistica è stato fatto, partendo dal numero delle borse. Un piccolissimo impercettibile aumento del numero delle borse che nemmeno deve essere considerato. Questo è quello che hanno fatto ancora una volta: far uscire il bando senza che ci sia stato un reale calcolo delle borse necessarie basato su una reale valutazione centrale delle esigenze sanitarie del nostro paese, delegando questo compito alle Regioni, un po’ come a dire: “questa è la nostra parte, quello che manca lo mettete voi”. Lo sappiamo bene, quello che manca è ne più ne meno il doppio delle borse bandito dal ministero.
Lo sappiamo bene noi specializzandi e aspiranti tali che vediamo anno dopo anno crescere sempre di più il numero di medici che resta fuori dal percorso formativo e che si aggiungono a quello dell’anno successivo.
Lo sanno bene gli studenti di medicina, che di anno in anno sono andati progressivamente aumentando e che legittimamente iniziano a preoccuparsi e a domandarsi come si arriverà all’attuazione della laurea abilitante, in considerazione del fatto che l’anno in cui entrerà in vigore, a meno che non ci siano nel frattempo cambiamenti seri, porterà al concorso contemporaneamente due anni consecutivi di laureati: gli ultimi che hanno fatto il test di abilitazione, che quindi hanno tardato un anno, e quelli che già si abiliteranno con la laurea.
Lo sanno bene gli amministratori regionali, che si trovano sempre più costretti in sistemi sanitari al collasso, in previsione dei pensionamenti di massa dei prossimi anni, delle crescenti esigenze sanitarie reali e con cui devono fare i conti tutti i giorni. Capiamo bene che loro, in qualche modo, provino anche a sistemare le cose alla menopeggio, ipotizzando, però, scenari improbabili e non accettabili come quello del doppio canale “formativo” proposto da Emilia, Lombardia e altre regioni.
Infine lo sanno bene i cittadini tutti che si confrontano tutti i giorni con un sistema sanitario inadeguato alle reali necessità di una popolazione che, tendenzialmente sta invecchiando e che di welfare ne avrà sempre più bisogno, costringendoli a ricorrere al sistema privato che in questa confusione generale e, a mal pensare anche un po’ voluta, si insinua e accresce di pari passo col disgregarsi del pubblico di cui tanto eravamo orgogliosi.
Diritto al lavoro, alla salute e alla formazione: pilastri fondamentali del welfare sempre più dimenticati dalla nostra politica con la scusa di un necessario definanziamento, perché da qualche parte bisogna pur prendere i soldi, che goccia dopo goccia è diventato parte della nostra quotidianità convincendoci che la vita che facciamo non è poi così male e che in fin dei conti potrebbe andare peggio, mentre la lancetta del nostro massimo benessere aspirabile scende anno dopo anno. La sensazione è che non ci tolgano tutto, ma ci tolgano i nostri diritti di una piccola percentuale di anno in anno così che si faccia in tempo ad abituare il nostro corpo a quella nuova amputazione. Quando saremo disposti a smettere di accettarlo?
Coordinamento “Chi si cura di te?”
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