“Tra formazione a pagamento e lavoro non pagato”. La dottrina giuslavorista e il ruolo dei medici in formazione.

Intervento del prof. Federico Martelloni per il webinar Più formazione, più diritti, più tutele: Verso Il Contratto Collettivo Nazionale della Formazione Medica

“Occuparsi degli specializzandi significa occuparsi di un oggetto misterioso.
Il sistema del diritto del lavoro italiano, come i sistemi di gran parte degli ordinamenti giuridici europei, si fonda su quella che Bobbio avrebbe definito una “grande dicotomia”, ovvero quella tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Le due norme di riferimento, l’articolo 2094 che definisce il prestatore di lavoro subordinato nel codice civile del ‘42, e l’articolo 2222 che definisce il lavoratore autonomo, oppongono queste due figure, sulla base della sussistenza o meno del vincolo di subordinazione. Per Bobbio, una grande dicotomia è congiuntamente esaustiva e reciprocamente esclusiva, il che vuol dire che insieme l’uno e l’altro corno di una grande dicotomia esauriscono lo spettro del lavorare per altri nell’ordinamento giuridico. Al tempo stesso, dire che è una dicotomia reciprocamente esclusiva vuol dire che non c’è una terra di mezzo, una zona interstiziale,  un tertium genus.

Eppure la Corte di Cassazione, anche molto di recente (sentenza 21196 del 2019), ribadisce, rispetto ai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie, che il rapporto di queste figure non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato e neppure nell’ambito del lavoro autonomo, ma costituisce una particolare ipotesi del contratto di formazione-lavoro.

Tuttavia, questa è a sua volta oggetto di una specifica disciplina, quindi si distanzia dalla disciplina tradizionale del contratto di formazione-lavoro, perché rispetto al contratto di formazione-lavoro, per così dire, tradizionale, che proviene da una normativa dell’84, nel caso degli specializzandi non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica, cioè di scambio, tra l’attività svolta dagli specializzandi e la remunerazione prevista dalla legge a loro favore. Questo perché gli emolumenti (le somme che ricevono) sono esclusivamente destinate a sopperire a esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono il corrispettivo delle prestazioni svolte, che dunque sono prestazioni non svolte a beneficio del committente/datore di lavoro, cioè dell’università, ma sono finalizzate alla formazione teorica e pratica degli specializzandi stessi e quindi finalizzate al conseguimento a fine corso di un titolo abilitante.

Si tratta quindi davvero di un oggetto misterioso perché sfugge alle categorie classiche con cui i giuslavoristi sono abituati a fare i conti.  Lo specializzando è una figura paradigmatica anche dal punto di vista normativo, perché è sospesa tra formazione a pagamento e lavoro non pagato. Da questo punto di vista, il medico in formazione specialistica è un alfiere del lavoro post-fordista nel suo complesso. Svolge infatti lo stesso ruolo che, in altre stagioni, hanno ricoperto, dal punto vista dell’interesse dei giuslavoristi, i Pony Express, che sono stati qualificati in vario modo da tribunali, corti d’appello e Corte di Cassazione in un contenzioso di fine anni ’80, perché sembravano sfuggire alla grande dicotomia lavoro autonomo/lavoro subordinato dove però poi sono stati collocati, nel senso che i Pony Express ondeggiavano tra una qualificazione e l’altra. E invece la Suprema Corte dice degli specializzandi che sfuggono alla grande dicotomia quindi si potrebbe dire che la mettono in discussione. Se, infatti, la grande dicotomia dovrebbe non avere né un fuori né una terra di mezzo, la vicenda dei medici in formazione specialistica, a tratti anche drammatica, dimostra che invece quest’elemento non è esaustivo.

Due osservazioni.
La prima: come detto in precedenza, rispetto alla particolarità del contratto di formazione-lavoro degli specializzandi, come precisa la Cassazione, non c’è alcun elemento sinallagmatico. Cioè, mentre nel contratto di formazione-lavoro tradizionale siamo dinanzi a un contratto a causa mista, che dunque prevede come obbligo fondamentale del datore di lavoro, in un rapporto di carattere subordinato, non solo l’obbligo retributivo ma anche un obbligo formativo, nel caso degli specializzandi si puntualizza che l’elemento di scambio lavoro-retribuzione non sussiste.

In secondo luogo, gli specializzandi versano alla Cassa di gestione separata presso l’Inps, il che significa che, dal punto di vista contributivo, sono inquadrati nell’alveo di una norma del codice di procedura civile (articolo 409 numero 3)come prestatori d’opera continuativi e coordinati, anche se non a carattere subordinato.

Qual è l’elemento bizzarro che si presenta oggi come elemento di novità, che potrebbe rappresentare una leva per dare ragione ad alcune delle rivendicazioni che gli specializzandi avanzano da tempo e che hanno rinnovato nell’ambito della mobilitazione del 29 maggio?

L’elemento nuovo che l’ordinamento giuridico ha messo in campo è che, dall’entrata in vigore del decreto legislativo 81 del 2015, si precisa che, quando la collaborazione resa dal prestatore d’opera è funzionalmente integrata in un servizio unilateralmente predisposto da un altro soggetto (collaborazione è etero-organizzata), gli si applica la disciplina del lavoro subordinato.

Questo non significa, a mio sommesso avviso, che bisognerebbe intentare causa, da parte di tutti gli specializzandi, per ottenere dai giudici il riconoscimento della natura della collaborazione come collaborazione etero-organizzata, e dunque rivendicare integralmente lo statuto tipico che tradizionalmente assiste i lavoratori inquadrati come prestatori di lavoro subordinati. Tuttavia il fatto che l’ordinamento giuridico istituisca una equiordinazione dal punto di vista degli effetti di tutela, tra lavoratori dipendenti e collaboratori etero-organizzati, può essere senz’altro uno strumento di pressione. Un elemento che segnala la compatibilità di alcuni istituti tipici del lavoro subordinato che hanno a che fare con la continuità di quei rapporti (il trattamento di malattia, di maternità, di infortunio etc.) così come dei diritti sindacali (a partire dal diritto, di rango costituzionale, di sciopero) con un caso di collaborazione continuativa ed etero-organizzata, cioè funzionalmente integrata in un servizio di cui altri ha la titolarità organizzativa, come è il caso dei medici in formazione.

Da questo punto di vista le rivendicazioni potrebbero essere oggetto di una piattaforma contrattuale e potrebbero essere del tutto compatibili con una figura che non ha la caratteristica tipica del lavoro dipendente classico. Si potrebbe ragionare su questa figura come una figura iscritta in un contratto a causa mista, che ha una componente di carattere formativo ma ha anche una componente di lavoro vero e proprio, che sul piano dei diritti merita di essere tutelata in modo adeguato e coerente alle regole che l’ordinamento giuridico, a partire dalle norme costituzionali, tradizionalmente contempla. Tanto più se si pensa al fatto che la bocciatura del contratto di formazione lavoro è stata determinata dal fatto che sovente era un contratto di poca formazione e molto lavoro, finalizzato all’inserimento nel mercato del lavoro di figure fragili o di figure giovani.

Nel caso dei medici in formazione specialistica, una volta accertato che l’elemento formativo sussiste (ma bisogna anche con le parti sociali verificare in quale misura sussista, in che termini sussista e in che proporzioni), laddove si svolge un’attività che non si può che qualificare come lavorativa in termini ampli, polisemici in cui la costituzione parla del lemma lavoro, questa deve essere retribuita e protetta. E ciò anche facendo carico al committente, cioè all’ente a beneficio del quale tale attività è svolta, dei rischi, come il rischio di malattia o infortunio, e delle occasioni, opportunità o di gioie (come può essere la maternità), che per certo oggi non sono incompatibili con lavori di carattere non subordinato.

Ciò è confermato dal decreto 81 del 2015, come rivisto nella sua formulazione dalla legge di conversione del cosiddetto “decreto Rider”, e dalla legge 81 del 2017, una legge sul lavoro autonomo non imprenditoriale, che, ogni qual volta il lavoro si misuri con attività di carattere continuativo, benché non subordinate, rende non solo plausibile ma anche concreta la sussistenza di elementi di tutela di welfare che coprano rischi di cui tradizionalmente, nel contratto di lavoro dipendente, si fa carico il datore di lavoro. Questo per dire che le strade sono potenzialmente tutte aperte, non ci sono ostacoli di ordine giuridico, nel nostro ordinamento giuridico, per come si è evoluto nel corso dell’ultimo quinquennio, che impediscano di accordare tutele a una figura sospesa tra subordinazione e autonomia, o sospesa tra lavoro e formazione”.

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