Le statistiche dell’Associazione culturale ed etica Transgenere (ACET) rivelano una realtà allarmante: nel corso dell’anno 2022, 381 persone hanno subito violenza transfobica a livello globale, cioè più di una vittima ogni giorno nel periodo che va dal 1° ottobre 2021 al 30 settembre 2022. Dall’anno 2008 ad oggi, il numero di morti di persone trans per cause violente supera i 5000 casi. Nell’ultimo anno si contano 38 vittime. Di queste, il 95% sono donne trans e, nell’81% dei casi, si tratta di omicidi. A ciò si aggiunge un numero incalcolabile di episodi di transfobia, sia fisica che verbale o psicologica, che la comunità trans e il resto della comunità LGBTQIAP+ affronta ogni giorno, non sempre riflessi nelle statistiche ufficiali. Secondo quanto segnalato dall’ACET, l’Italia registra una situazione particolarmente grave, posizionandosi come il Paese europeo con il numero più elevato di attacchi motivati dall’odio transfobico.
Secondo i dati preliminari dello “Studio sullo stato di salute della popolazione transgender adulta in Italia” condotto dall’Istituto Superiore di Sanità emerge soprattutto la difficoltà di accedere ai servizi sanitari, in particolare agli screening oncologici, di cui il 46% per discriminazioni subite. Soltanto il 20% delle persone AFAB (Assigned Female At Birth) alla nascita esegue il pap-test, mentre soffre di depressione circa il 40% delle persone transgender.
Sempre secondo lo studio dell’ISS, La mancanza di conoscenza sulla salute transgender da parte del medico e l’utilizzo di una terminologia inappropriata, spesso transfobica e patologizzante, sono le criticità più frequentemente riscontrate dallə utenti nell’interazione con il medico. Una survey tutt’ora in corso mostra, dai dati preliminari, come gli stessi medici sottolineino la necessità di una formazione specifica sugli aspetti di salute legati all’identità di genere che non è attualmente parte del curriculum di studi universitario.Il percorso di transizione, in termini giuridici e medici, è profondamente patologizzante, totalmente in mano, il più delle volte, a persone cis che nulla sanno dell’esperienza e vissuto trans. Dal giudice che prende in mano la pratica, fino al consulente tecnico d’ufficio a cui eventualmente si rivolge e al personale sanitario (psicologi ed endocrinologhi) a cui la persona trans* si ci si rivolge. La legge 164 del 1982, con le sue successive modifiche ottenute tramite sentenze civili, è ad oggi una legge obsoleta, ambigua (che si presta ad interpretazioni assurde quali la sterilizzazione e la psichiatrizzazione/psicologizzazione coatta e che spesso ammette la mancanza di un corretto consenso informato), onerosa in termini economici e psicoemotivi per le singole persone e le singole famiglie che vengono per lo più abbandonate alla ricerca del percorso più corretto.
Ad oggi i protocolli a cui si affidano i singoli giudici (quasi sempre il protocollo Onig) prevede tra l’altro un real life test in cui alla persona trans* è chiesto di avere una vita sociale secondo il genere in cui si identifica ma senza la rettifica dei dati anagrafici. Questo espone a rischi e violenze fisiche e/o psicologiche.
Autodeterminazione sociale dell’identità della persona: il primo passaggio, quando si dialoga di identità di genere, è ricordare che viviamo in una società basata sul principio di identificazione, per cui non è concesso al singolo essere umano di non definirsi in un genere. Dal nostro punto di vista, in qualità di medichə transfemministə, vogliamo sottolineare il ruolo della medicina nella declinazione della violenza transfobica perché storicamente la medicina ha contribuito in maniera determinante alla patologizzazione dell’identità trans*. Riconducendo il discorso legato all’identità di genere alla dicotomia salute/stato di malattia, la medicina ha contribuito a definire una norma, quella cisgender, culturalmente e socialmente riconosciuta e validita a cui è stata contrapposta, in termini patologizzanti e stigmatizzanti, l’identità trans*. Come medichə transfemministə vogliamo assumere una posizione netta e di rottura rispetto a questa narrazione. Vogliamo contribuire attivamente alla costruzione di un nuovo immaginario e narrativa che abbia al centro la piena e legittima autodeterminazione di tutte le persone trans*
Vogliamo riconoscere esplicitamente l’arbitrarietà e la violenza del processo di assegnazione del genere(con le relative aspettative sociali che ne derivano sulla vita della persona) alla nascita,che avviene esclusivamente sulla base di caratteristiche (i caratteri sessuali secondari sostanzialmente) altrettanto arbitrariamente definiti e interpretati. Vogliamo esplicitare come anche il processo di assegnazione del sesso biologico sia altrettanto arbitrario e violento e invisibilizzi completamente l’identità intersex. Si tratta, in entrambi i casi, di operazioni/processi non neutri, con dei significati politici e culturali netti. Con delle implicazioni forti e tangibili nelle vite delle persone, troppo spesso fin dall’infanzia.
Portando al centro del discorso la piena autodeterminazione delle persone trans*, vogliamo riconoscere l’unicità e irripetibilità di ogni singola esperienza trans*. Non vogliamo più che esista un’unica possibilità riconosciuta e considerata possibile. Vogliamo metterci al servizio della comunità trans*, ascoltare ogni singola ed irripetibile istanza e contribuire alla realizzazione della piena autodeterminazione di ogni singola persona trans*.